Gli schiavi nei libri parrocchiali

A cura di Beatrice Schivo

Contenuto in corso di aggiornamento.

 

La reciprocità che caratterizzò la schiavitù mediterranea investì anche l'ambito della conversione religiosa. Così come esistettero i “cristiani di Allah”, allo stesso modo esistettero i “musulmani di Cristo”. Si poteva scegliere (accettare, subire) una progressiva assimilazione nella società dove si era giunti o diventati schiavi, e questa doveva passare necessariamente attraverso l'adattamento religioso. Nel mondo europeo, per gli schiavi musulmani, anche la manumissione (o affrancamento) per volontà e accordo col padrone aveva - spesso ma non nella totalità dei casi - come presupposto l'avvenuto passaggio alla religione cattolica, che significava di per sé la rinuncia ad ogni possibile ritorno in patria.

Sebbene il passaggio alla religione cristiana non comportasse necessariamente la liberazione, nella speranza di migliorare la propria condizione, alcuni schiavi comunque si convertivano. Il recupero della libertà poteva essere così quanto meno agevolato. Nei riguardi degli schiavi domestici i proprietari indubbiamente esercitavano una qualche pressione, probabilmente facendo loro varie promesse.

Quali che fossero le circostanze che portavano alla conversione di un infedele, oggi è chiaro che il numero degli schiavi musulmani convertiti e successivamente integrati nelle società europee è maggiore di quello degli schiavi liberati e tornati in patria. In effetti casi documentati di battesimi di musulmani sono numerosissimi.

La fonte più ricca su questo aspetto della schiavitù nel Regno di Sardegna è rappresentata dai Quinque Libri, preziosissima raccolta di antichi manoscritti delle Diocesi della Sardegna. Si tratta di registri redatti dalla fine del XVI secolo in seguito alle disposizioni del Concilio di Trento, su cui venivano annotati gli atti di battesimo, matrimonio, morte, l'amministrazione del sacramento della Confermazione e lo stato delle anime parrocchia per parrocchia, Diocesi per Diocesi.

L'analisi di questi volumi è partita dalla documentazione della diocesi di Cagliari conservata (e dematerializzata) nell'Archivio Storico Diocesano della città. Sono state verificate le registrazioni sacramentarie delle parrocchie dei quattro quartieri storici della città, partendo dal quartiere in cui era concentrata la maggior parte dei captivi: Castello (parrocchia di Santa Cecilia), Stampace (parrocchia di Sant'Anna), Villanova (parrocchia di San Giacomo) e Marina o Lapola (parrocchia di Sant'Eulalia). I volumi presi in esame si riferiscono al XVII secolo.

La struttura degli atti battesimali è piuttosto semplice. Normalmente compare la data, il nome del padrone, la condizione del battezzando o della battezzanda (schiavo, schiava, schiavetto, negro, ecc.), il nome cristiano che gli o le viene imposto, i nomi del padrino e della madrina. Anche questi ultimi si rivelano preziosi se si pensa alla prospettiva di ricostruzione della rete clientelare e delle strategie dell'élite del Regno. infine viene riportato il nome dei testimoni presenti al sacramento.

Quanto ai nomi attribuiti ai battezzati erano spesso nomi cristianeggianti (come Maria, Giovanni Baptista o altri nomi di santi e sante) oppure riprendevano i nomi dei padrini, delle madrine o degli stessi proprietari. Infine si era soliti dare il cognome della famiglia di appartenenza, la maggior parte delle volte preceduto da un de.

Se le conversioni ottenute con i battesimi in età adulta fossero o meno spontanee, non è semplice da comprendere. Sono rari ma esistono atti in cui lo schiavo chiese esplicitamente di essere battezzato per entrare nella Santa Mare Iglesia, alcuni dei quali in punto di morte ricevendo a stretto giro il battesimo e l'estrema unzione. Si potrebbe presumere che, quando nell'atto non veniva specificato diversamente, la conversione e il battesimo erano una volontà del padrone e non dello schiavo.

Nel caso particolare dei figli delle schiave (e di padre quasi mai specificato), battezzate o ancora musulmane che fossero, venivano battezzati al cristianesimo subito dopo la nascita dai proprietari delle madri e rimanevano nella condizione schiavile.

Oltre alle attestazioni di battesimi - numerosissime - sono stati analizzati gli atti degli altri sacramenti per verificare la presenza schiavi come protagonisti. Seppure non molto numerosi sono stati rinvenuti atti di confermazione, matrimonio e morte. Tra tutti, gli atti di morte sono i secondi più numerosi dopo i battesimi. Gli estremi cronologici coperti fino ad oggi sono 1600-1619. .

Rare e preziose volte è possibile seguire - almeno in parte - il percorso degli schiavi nella Chiesa cattolica tramite i sacramenti o assistere alla formazione e alla crescita di vere e proprie famiglie.

 

Per approfondire:

Salvatore Loi, Prigionieri per la fede: razzie tra musulmani e cristiani (Sardegna secoli XVI-XVIII), S@l Edizioni, Capoterra, 2016;

Salvatore Bono, Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo), Il Mulino, Bologna, 2016.