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Ferdinando II d’Aragona chiede al viceré di Sardegna di verificare i privilegi della città di Bosa in materia di coralli (1493) Con questa carta il re Ferdinando II d’Aragona comanda a Giovanni Dusay, viceré di Sardegna, di verificare se Bernardo de Villamarí, capitano generale della flotta reale e signore della Planargia e della città di Bosa, possegga realmente il privilegio di far pescare corallo nel mare della suddetta città, nonché di commerciarlo e vederlo in qualunque parte del mondo egli desideri. Se così sarà, il viceré dovrà amministrare prontamente giustizia nei confronti del detto Villamarí per preservalo in tale concessione e tutelarlo da quanti pescano in quei mari a suo danno.
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I Consiglieri della città di Barcellona chiedono al viceré di Sardegna di far rispettare le imposizioni sul corallo in quel regno (1492) Con questa lettera i Consiglieri della città di Barcellona chiedono a Giovanni Dusay, viceré di Sardegna, di far osservare nel suddetto Regno la pragmatica recente rinnovata dal re Ferdinando II, che vieta a chiunque non fosse suo suddito e vassallo di pescare, o far pescare, corallo nei mari della suddetta isola, come anche di esportare e commerciare tale prodotto al di fuori dei regni appartenenti alla Corona d’Aragona.
Tale richiesta è volta a salvaguardare i privilegi e la posizione egemonica della città catalana nel commercio di tale prodotto, da tempo erosi da numerosi mercanti barcellonesi e forestieri con pratiche fraudolente o con la compiacenza degli ufficiali patrimoniali sardi.
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Supplica della città di Barcellona al re Ferdinando II in merito alle imposte sul corallo vigenti in Sardegna (1491) Con questo documento i Consiglieri della città di Barcellona supplicano il re Ferdinando II affinché faccia mantenere nel suo pieno vigore la prammatica che proibisce a chiunque di pescare il corallo nei mari di Sardegna e Corsica, e commercialo in regni non appartenenti alla Corona d’Aragona, a meno che non si sia sudditi o vassalli di quest’ultima.
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Ferdinando II d’Aragona rinnova i privilegi concessi alla città di Alghero nel 1384 in materia di coralli. Con questa carta il re Ferdinando II d'Aragona conferma alla città di Alghero il privilegio accordatole il 18 luglio 1384 dal sovrano Pietro IV, e rinnovato da Alfonso V il 30 settembre 1444, in virtù del quale tutti coloro che attendono alla pesca del corallo nei mari sardi, dal Capo di Napoli – oggi Capo Frasca – all’isola dell'Asinara, sono tenuti a far porto e dogana ad Alghero.
Il provvedimento nasce dalla volontà di restaurare la città delle sue prerogative, erose nei decenni precedenti dalle politiche realizzate da Giovanni de Villamarí prima, e dal figlio Bernardo poi, signori della Planargia e della città Bosa, volte ad attrarre sempre più pescatori di corallo in quest’ultimo porto.
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Alfonso V d’Aragona rinnova i privilegi concessi alla città di Alghero nel 1384 in materia di coralli. Con questa carta il re Alfonso V d'Aragona conferma alla città di Alghero il privilegio accordatole il 18 luglio 1384 dal sovrano Pietro IV, in virtù del quale tutti coloro che attendono alla pesca del corallo nei mari sardi, dal Capo di Napoli – oggi Capo Frasca – all'isola dell'Asinara, sono tenuti a far porto e dogana ad Alghero.
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Ordini emanati da Alfonso V d’Aragona per abolire alcuni aumenti sulle imposte del corallo (1417) Con questo documento il re Alfonso V d’Aragona ribadisce a Bartolomeo Vidal, procuratore reale in Sardegna, l’ordine già trasmesso al suo predecessore Pietro Segarra con lettera inviata da Barcellona il 10 luglio 1416, di abolire certi aumenti arbitrari delle imposte pagate ad Alghero dagli stranieri per la pesca del corallo, nonché di altri oneri fiscali.
Infatti, come segnalato in una relazione presentata al sovrano dai mercanti Antonio Sunyer e Bernardo Mallol, era divenuto oramai costume far pagare nove fiorini per ogni libbra di corallo estratto, equivalenti a 11 soldi invece dei prescritti 4, agli stranieri che ad Alghero si dedicavano alla pesca corallo. A causa di questi sovrapprezzi tale attività era andata dunque progressivamente declinando, procurando gravi danni alle finanze pubbliche. Per questo motivo, essendo passato più di un anno senza che in Sardegna si fosse dato corso ai suoi ordini, il sovrano ingiungeva al Vidal di porli in opera senza ulteriori dilazioni, sotto ammenda di 1000 fiorini nel caso in cui ciò non fosse avvenuto.
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Carta reale di Pietro IV d’Aragona con cui vengono concessi alcuni privilegi in materia di coralli alla città di Alghero (1384) Con questa carta il re Pietro IV d’Aragona dispone che tutti coloro che si dedicano alla pesca del corallo, o trasportano tale prodotto, nei mari sardi compresi fra Capo di Napoli – oggi Capo Frasca – e l'isola dell'Asinara, debbano far scalo e dogana solamente nel porto di Alghero, e non altrove.
Il provvedimento è volto a ristorare economicamente la città per i danni patiti nei recenti tumulti popolari e nel conflitto contro Mariano IV d’Arborea, e prevede che tutti, cittadini o stranieri, siano tenuti a pagare la consueta e vigente imposta sul corallo sotto pena della perdita delle loro imbarcazioni, delle loro proprietà e dei loro beni.
Con il tempo tale provvedimento entrò a far parte dei privilegi detenuti dalla città di Alghero, venendo confermato e rinnovato più volte nei secoli successi: una prima volta da Alfonso V d’Aragona in data 30 settembre 1444, e una seconda il 16 marzo 1481 durante il regno di Ferdinando II.
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Carta reale di Pietro IV d’Aragona con cui vengono concessi alcuni privilegi in materia di coralli agli abitanti di Alghero (1375) Con questo documento, il re Pietro IV d’Aragona, guidato dalla volontà di ristorare il tessuto economico della città di Alghero dai danni subiti nelle recenti sommosse popolari e nel conflitto con Mariano IV d’Arborea, ordina di sospendere in via temporanea, per i soli suoi abitanti, le imposte vigenti sul corallo. Da questa disposizione, infatti, restano esclusi catalani, provenzali e chiunque altro attenda alla pesca di tale prodotto nei mari della Sardegna nordoccidentale. Da essi, portolano e ufficiali doganali dovranno continuare ad esigere l’imposta pari al 5% del valore del prodotto pescato introdotta solamente qualche anno prima.
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Archivio della Corona d'Aragona
L’Archivio della Corona d’Aragona nacque nel 1318, quando il sovrano Giacomo II decise di trasformare due stanze del palazzo reale di Barcellona al fine di creare un unico spazio di raccolta, gestione e conservazione per l’enorme mole di atti e documenti prodotti dalla Cancelleria reale, sino lì dispersa in vari depositi. Fu poi il re Pietro IV a trasformatore l’archivio in un vero e proprio ufficio amministrativo, eleggendo il notaio Pere Perseya alla carica di archivista (1346) e stabilendo il suo funzionamento in una serie di ordinanze emanate nel 1384.
Sin dalla sua istituzione l’Archivio prese dunque a conservare sistematicamente, e senza soluzione di continuità, i registri prodotti dalla Cancelleria reale contenenti gli ordini e le disposizioni emanate dal sovrano per il buon governo dei diversi regni appartenenti alla Corona d’Aragona. Tuttavia, in esso trovò spazio materiale proveniente anche da altre istituzioni, come il soppresso Ordine dei Cavalieri Templari, e dopo l’istituzione del sistema di governo vicereale il Consejo de Aragon.
Con il cambio di dinastia dopo la Guerra di successione (1701-1714), e l’emanazione dei Decreti di Nueva Planta, l’archivio smise di ricevere documentazione, divenendo progressivamente un luogo destinato prettamente alla ricerca storico-documentaria, come testimonia la vasta opera di riorganizzazione avvenuta seguendo i principi dell’Illuminismo nella seconda metà del XVIII secolo.
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Real Cancillería de los Reyes de Aragón
La carica di Cancellerie reale dei sovrani d'Aragona fu ufficialmente istituita per volere del re Giacomo I nel 1257, sebbene figure analoghe fossero già presenti all'interno della Curia regia in tempi precedenti. A tale figura fu inizialmente affidato il compito di registrare e trasmettere i provvedimenti emanati dal sovrano, debitamente vidimati con il sigillo reale di cui era custode.
Durante il regno di Pietro IV, una serie di ordinanze e provvedimenti disegnarono infine attorno al cancelliere un vero e proprio organo amministrativo, definendo gli incarichi e le competenze di tutta quell figure che nel corso del tempo avevano iniziato a coadiuvarlo nel suo lavoro quotidiano. Vennero dunque create le figure del Vice-cancelliere, responsabile della supervisione degli affari giudiziari, e del Protonotario, cui venne affidata la custodia di tutti i sigilli reali, ad eccezione di quello segreto, che fu assegnato a un Camerlengo. Gerarchicamente subordinati al Protonotario vi erano poi tutti i notai e scribi incaricati di redigere e registrare i documenti reali, affiancati da quattro vergueros e un corriere reale.
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Vendite al pubblico incanto gestite dal patrone Miquel Mitzavila Il patrone Miquel Mitzavila, maiorchino, afferma di aver venduto e consegnato al pubblico incanto gli schiavi che ha catturato nei giorni passati col suo brigantino nei mari di Sant’Antioco. Riconosce che il prezzo di questi schiavi gli è stato pagato in denaro contante.
Le vendite sono state le seguenti: a don Gaspar Pira per 265 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Ali; a don Juseph dela Mata per 282 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al reverendo canonico Augusti Murtas per 125 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di cui non è scritto il nome; a don Hieroni Fadda per 270 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Muda; a Marco Furnels per275 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; a Francesch Taxillo per 288 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al reverendo canonico Llorens Sampero per 302 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; a Bernardo Paulins per 280 lire e un reale di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al reverendo don Pere Folgiari per 300 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Cassam; a Antonio Caneu per 300 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al dottor Dionis Capai per 252 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al dottor Antonio Sauni per 295 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al dottor Matheo Benedeto per 275 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; a don Gavi Capai per 287 lire e 15 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; a padre frate Joan Baptista Leande, vicario generale del convento della santissima trinità, per 256 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; a Gregori Odger per 175 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Adalla; a Melchior de Castro per 181 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; a don Melchior Pirella per 250 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet; al magnifico don Silverio Bernardi, reggente la reale cancelleria, per 230 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Cassam; a don Pau de Castelvì procuratore reale e giudice del real patrimonio, per 500 lire di moneta di Cagliari, due schiavi di cui non è scritto il nome; al magnifico don Juseph dela Matta per 81 lire di moneta di Cagliari, uno schiavo di nome Amet.
Testimoni sono il dottor Juan Baptista Masons e Pere Sanna, abitanti di Cagliari; Diego Carreli e Francesch Fadda abitanti di Cagliari; Juan Leoni e Andrea Paulis abitanti di Cagliari.
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Vendite al pubblico incanto gestite dal patrone Barthumeu Torres Il patrone Barhumeu Torres Maiorchino, patrone del suo brigantino, trovandosi personalmente a Cagliari, afferma di aver venduto al pubblico incanto alcuni schiavi catturati col suo brigantino nei mari di Barbaria.
Riconosce di aver ricevuto da Juan Font, domiciliato nella Lapola di Cagliari, 100 lire di moneta cagliaritana, prezzo di uno schiavo di nome Ali; da Juan Lluis Fiorillo 230 lire di moneta cagliaritana, prezzo di uno schiavo di nome Amor; dal reverendo canonico Thomas Rachis, vicario generale, 200 lire di moneta cagliaritana, prezzo di uno schiavo di nome Amet.
Testimoni sono Jacinto Peiz e Diego Gandulfo abitanti di Cagliari
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Vendite al pubblico incanto gestite dal patrone Barthomeu Didià Il patrone Barthumeu Didià afferma di aver venduto al pubblico incanto alcuni schiavi catturati nei mari di San Pietro.
Riconosce di aver ricevuto da Sisinni Geruna, mercante domiciliato a Cagliari, 327 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari prezzo e valore di uno schiavo di nome Cassam, che gli è stato venduto e consegnato nel pubblico incanto il 26 ottobre; da Grabriel Picarall di Stampace, 300 lire di moneta di Cagliari, prezzo di uno schiavo di nome Ali acquistato il 28 di ottobre; da Diego Alonço, negoziante, 255 lire li moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Cassam che gli ha venduto e consegnato nel pubblico incanto il 26 del mese; dal nobile don Gironi Torrella 280 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; dall’illustrissimo e reverendissimo signor arcivescovo di Cagliari 278 lire e 15 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; don Gironi Soliman 294 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Mamet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; dal nobile don Simoni Montanacho 300 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Augustì Boi 282 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Yaya che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre;dal nobile don Joan Dexart, dottore della reale udienza, 287 lire e 10 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; dal nobile don Francesco Abella 308 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Aly che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; dal nobile don Anton de Robles 275 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Aly che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Augustì Boi 276 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Aly che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Joan Baptista Murteo 350 lire e 5 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Aly di Algeri che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Gabriell Picanell 228 lire e 15 soldi di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Aly che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Joseph de Taragona 250 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Joan Sisini Adseni 325 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato nell’incanto pubblico il 26 ottobre; da Joan Jeronimo Montañer, segretario di Sua Eccellenza, 200 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato oggi 29 ottobre; da Juan Battista Montanio 75 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet consegnato nel pubblico incanto nella giornata odierna; dal magnifico don Michel Bonfant, giudice di corte per Sua Maestà, 200 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato oggi nell’incanto pubblico; dal nobile don Paulo Castelvì, procuratore reale e giudice del real patrimonio, 200 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Amet che gli ha venduto e consegnato oggi nell’incanto pubblico; dal magnifico don Antonio Caneles de Vega 250 lire di moneta di Cagliari per uno schiavo di nome Ali che gli ha venduto e consegnato oggi nell’incanto pubblico.
Testimoni sono Baptista Agus e Sisinni Gallus, abitanti di Cagliari.
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Vendite al pubblico incanto gestite dal patrone Miquel Matos Vendita al pubblico incanto degli schiavi che ha portato nel porto di Cagliari il patrone Miquel Matos, catturati nella presa che egli ha fatto nei mari di Barberia col suo brigantino per istanza di Salvador Puddo, altro dei corridori della città.
Della presa il patrone non paga diritto alla regia corte secondo una determinazione del regio patrimonio.
Primo si vende uno schiavo bianco di nome Marraquis a don Francesco Corts per 250 lire
Un altro schiavo di nome Ali a Juan Abros Chavari per 137 lire e 10 soldi
Un altro schiavo di nome Amet a donna Juana Narro per 260 lire
Un altro schiavo di nome David a Francesch Manca sabater per 202 lire e 15 soldi
Un altro schiavo di nome Asach a don Gaspar Pira, dottore della reale udienza, per 161 lire
Un altro schiavo di nome Ali a don Juan de Andrada per 120 lire.
Nelle sei carte successive si trovano i singoli atti di vendita degli schiavi e i nomi dei testimoni che sono gli stessi per tutte le vendite: Jacinto Peris e Diego Cau, abitanti di Cagliari.
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Vendite al pubblico incanto gestite dal patrone Juan Maltes Patrone Juan Maltes ha venduto al pubblico incanto alcuni schiavi che ha catturato nei mari di Barbaria col suo brigantino.
Afferma di aver ricevuto da don Anton de la Bronda 262 lire e 15 soldi di moneta cagliaritana per uno schiavo di nome Amet; da Salvator Fontana 162 lire e 15 soldi di moneta di Cagliari prezzo di uno schiavo di nome Monsor; da Guillem Visent 175 lire e 10 soldi di moneta cagliaritana prezzo di uno schiavo di nome Saim; da Pere Vaquer 250 lire e 5 soldi di moneta cagliaritana prezzo di uno schiavo di nome Famut; dal reverendo Antoni Quensa, canonico della sede di Cagliari, 300 lire di moneta cagliaritana prezzo di uno schiavo di nome Ali.
Testimoni sono Diego Cau e Augusti Pixi, abitanti di Cagliari.
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Incanto di schiavi svolto nell’agosto 1605 Il giorno 23 agosto del 1605 a Cagliari Baptista Squirro afferma di aver venduto nel pubblico incanto della città nei giorni precedenti, per ordine del procuratore reale Joan Deixar, e con autorizzazione di Francisco Pinna, primo coadiutore del maestro razionale, uno schiavo di nome Amet Charì dei due che il capitano Johannes Baptista Alaqui (Loqui) aveva preso in Berberia, a don Salvador Bellit per 255 lire.
Due giorni dopo, il 25 agosto, ancora afferma di aver venduto uno schiavo di cui non scrive il nome, sempre catturato dal detto Alagui, a Joan Angel dela Bronda per 296 lire, 2 soldi e 6 denari.
Sul prezzo degli schiavi venduti si deve prelevare il sei percento da consegnare al regio patrimonio.
Firma Miquel Angel Bonfant, notaio.
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Biblioteca Nacional de España
La Biblioteca Nacional de España fu fondata nel 1711 per volere del sovrano Filippo V.
Al fondo originario composto da circa 6000 pubblicazioni provenienti dalle collezioni private del monarca, si aggiunse molto presto ulteriore materiale librario proveniente dai patrimoni confiscati ai sostenitori della fazione austracista sconfitta nella recente guerra di successione al trono spagnolo.
Nel corso dei secoli successivi, la biblioteca ha continuato a espandere la propria collezione attaraverso una serie di privilegi reali, divenuti infine deposito legale con il passaggio a proprietà pubblica (1836), che imponevano agli editori spagnoli di depositarvi una copia di ogni nuovo libro pubblicato.
Oggi, la Biblioteca Nacional de España è rinomata per la sua vasta e preziosa collezione, che comprende anche numerosi esemplari di manoscritti, incunaboli, libri antichi, carte geografiche e una varietà di altri materiali culturali e storici acquisiti attraverso donazioni o vendite da privati.
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Incanto di schiavi svolto dal 9 al 18 febbraio 1605 Incanto degli schiavi presi dai capitani Andres de Lorca, maiorchino, e Guillelm Prebost, francese, patroni di un brigantino e una tartana, nei mari di Berberia.
L’incanto si fa per ordine del procuratore real Joan Deixar e la prima giornata di vendite è il 15 febbraio.
Si vendono i seguenti schiavi: a Joan Francisco Jorgi uno schiavo di nome Xaban per 393 lire; a Miquel Jorji uno schiavo piccolo (xich) di nome Ali de Madi per 261 lire; al dottor Bonifacio Capay uno schiavo nominato Amet per 345 lire; don Antonio Brondo acquista un altro schiavo piccolo di nome Ali per 273 lire; il dottor Francesch Adceni compra una schiava di nome Axa per 153 lire; Phelipe Sylvestre acquista uno schiavo di nome Morat de Amet proveniente da Bona per 123 lire; uno schiavo il cui nome non è indicato è venduto a Dionis Bonfant per 189 lire e 5 soldi.
Il giorno successivo, 16 febbraio, si prosegue l’incanto e vengono venduti i seguenti schiavi: Amet al dottor Angelo Giagarachio per 348 lire; Say al capitano Andres de Lorca per lo stesso prezzo; uno schiavo di nome Sayeta a Julia’ Tola per 333 lire; a Pere Blancafort si vende uno schiavo di nome Amet per 339 lire e 5 soldi; al reverendo Antonio Marti uno schiavo di nome Sanson, ebreo, per 400 lire.
Due giorni dopo continua l’incanto, il 18 febbraio. Pau Orda acquista Ali per 180 lire; Gaspar Bonato acquista Abraim per 360 lire e 5 soldi; Andreu Ramassa compra Amet per 201 lire; Andreas de Lorca compra un altro schiavo di cui non viene specificato il nome per 90 lire e 5 soldi; Catalina Alemania compra uno schiavo di cui non viene indicato il nome per 161 lire e 5 soldi; Thomas Brondo acquista Ambarch per 360 lire e 5 soldi; Nicolao Cachuto compra uno schiavo senza indicazione del nome per 90 lire e 5 soldi; il dottor Soler compra un altro schiavo senza nome per 192 lire e 5 soldi; Antonio Molarja un altro schiavo senza nome per 303 lire; la viceregina acquista una schiava con un figlio per 200 lire.
Il 16 marzo dello stesso anno si legge la testimonianza di Antonio Trino, genovese, testimone che giura di dire tutta la verità. Egli riferisce che il viaggio di Prebost è avvenuto nel dicembre del 1604 e si è concluso con una presa di mori. Di questi mori uno, di nome Ambarch, è morto. Inoltre dell'ultima presa, fatta nel mese di febbraio, ne sono morti tre: uno che si chiamava Ali e degli altri due riferisce di non sapere il nome. Il testimone dice di essere a conoscenza di queste cose per aver visto morire quegli uomini in prima persona.
Lo stesso giorno viene interrogato un secondo testimone, Sebastianus Palermo di Consevera, che, come il precedente, giura di dire tutta la verità di sua conoscenza. Afferma che dei mori catturati nella presa fatta nel dicembre 1604 dal patrone Guillelm Prebost, ne morì uno che si chiamava Ambarch. Inoltre di quelli catturati nell'ultima presa fatta lo scorso febbraio ne ha visti morire tre, che tuttavia non ricorda. Afferma di avere questa informazione perché li ha visti morire lui stesso.
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Inventario di schiavi del 3 e 4 febbraio 1605 Inventario degli schiavi, del brigantino e delle robe che Guglielmo Prevost ha preso nei mari di Berberia. Inventario fatto per ordine del signor don Juan Deixer procuratore reale e giudice del reale patrimonio del regno.
Dopo aver inventariato il brigantino e gli oggetti il 3 febbraio, gli schiavi vengono inventariati il 4 febbraio alla presenza di Miquel Guasch portiere ordinario della procurazione reale. Gli schiavi catturati sono i seguenti: un moro di nome Ussayn; un altro moro di nome Mahomet; un altro nominato Scander; Mahomet; un altro di nome anch’esso Mahomet; un moro ebreo di nome Abram; Assanam; Abdalla; Ali; Amida; Ali; un altro Ali; Amet; Mahomet; Abraim; Ali; Mahomet; Ali; Ali; Ali; una mora di nome Aissa; Ali; un’altra Aissa; uno schiavetto di nome Mahomet; un ebreo detto Sanson; un altro moro detto Mahomet; Sayte; Charif; Mahomet; Belassem; un moro detto Raban; un altro chiamato Mahomet; un altro moro chiamato Abdalla; Ambarch; Sayt; Ansa Cego; Ambarch; un altro Ambarch; un moro di nome Moratanebi; Sabrit; Mostafa; Ambarch; Mahomet; un moro detto Abraim e un moro ebreo detto Abram; un moro di nome Ali.
Si fa nota che sono stati presi due schiavi per il diritto di joya per essere capitani di due diversi vascelli. Il diritto detto di "joya" era un privilegio che consisteva nell'usanza del viceré e del procuratore reale di pretendere, ad ogni pubblico incanto, uno schiavo o una schiava per sé a titolo di omaggio.
Firma il notaio Bonfant.
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Incanto di schiavi del 31 dicembre 1604 Incanto della presa fatta da Guglielmo Prevost in Berberia, verso Biserta. Incanto fatto per ordine del nobile signor procuratore reale don Nofre Fabra e Deixer.
Sono stati venduti: al canonico Simon Montanagio uno schiavo di nome Reba de Ambarch per 240 lire e un altro schiavo di nome Amar de Abdalla per 300 lire; a don Angel Manca Ali de Abraim per 300 lire; al magnifico egregio Monserrat Rossello, dottore della reale udienza, una moretta di nome Bengaida per 300 lire e una schiava di nome Salima de Ali per 357 lire e 5 soldi; a Nicholau Montelles uno schiavo di nome Califi per 171 lire; a Miguel Calabres Tamalla per 150 lire; al viceré uno schiavo di nome Ali per 275 lire, un altro di nome Ottoman per 263 lire; a Nicholau Ventallols una mora con due figli per 363 lire; al canonico Baccallar uno schiavo di nome Amet per 150 lire; al patrone Baptista Frances una schiava nominata Massauda per 30 lire; al marchese di Quirra uno schiavo di nome Sarch per 213 lire; al capitano Christofol Franco Rach per 150 lire.
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Inventario di schiavi del 27 dicembre 1604 Inventario della presa fatta da Guglielmo Prevost, francese di Sant Torpè, nei mari di Berberia, a Biserta nel luogo di Gayram. L’inventario è fatto per ordine del procuratore reale e giudice del reale patrimonio don Nofre Fabra y Deixer.
Sono inventariati: un moro negro di nome Ambarch; Amet di Quem; Sarch figlio di Amet di quem; noro di nome Ali di Adarailm; Raih, fratello di Ali de Adraim; Reba de Ambarch; schiava di nome Massauda; altra schiava di nome Atega di Nasar; schiava di nome Sada; un bambino piccolo nato sul vascello di nome Joan; un altro schiavo di nome Amar de Abdalla; un altro di nome Ali di Abdicarim; un altro di nome Calif; un altro schiavo di nome Tomalla di Naser; una mora di nome Taila; un’altra mora di nome Salima; un’altra di nome Mangaida; un altro schiavo di nome Ottoman de Ali.
Si specifica che di questi ne ha preso alcuni – non si indica quanti né quali – il viceré per il diritto di joya: questo diritto o privilegio consisteva nell'usanza del viceré e del procuratore reale di pretendere, ad ogni pubblico incanto, uno schiavo o una schiava per sé a titolo di omaggio.
Tutti i mori catturati vengono affidati al capitano Prevost. Testimoni sono Miguel Guasch, portiere ordinario della procurazione reale e Pere Pau Bonfant, mercante abitante in Cagliari.
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Incanto di schiavi del 21 e 22 ottobre 1604 Incanto degli schiavi presi da Andream de Lorca, maiorchino, nei mari di Berberia con suo brigantino. Incanto fatto per ordine del procuratore reale del regno alla presenza del corridore pubblico Francesco Loi, giurato della curia della città di Cagliari.
Sono venduti i seguenti schiavi: Daifa, morena, a don Joan Carillo per 500 lire; al conte di Quirra una schiava di nome Barca con un figlio di un anno per 606 lire; a Miquel Rocca una schiava di nome Fatima per 450 lire; un bambino di sei o sette anni al canonico Salvador Sini per 330 lire.
Seconda giornata dell’incanto, 22 ottobre.
Si vende uno schiavo moreno a Francesco Volo per 408 lire; uno schiavo di nome Belgassan a Joan Antoni Marti per 462 lire; Odiguit a Miguel Angel Bonfant, notaio, per 347 lire; Belgassan a don Thomas Brondo per 447 lire; al dottor Salvador Carcassona uno schiavo di nome Ali per 501 lire; una schiava di nome Asseminidia con un figlio per 600 lire al dottor Joan Francesco Fundoni; un’altra di nome Amada a Pedro de Ravaneda per 522 lire; uno schiavo mulatto di nome Adalla ad Antoni de Tola per 339 lire insieme ad un altro schiavetto mulatto per 270 lire; una schiava di nome Axia con un figlio a donna Maria Cani per 511 lire; Monsor a Bernard Concas per 33 lire e 5 soldi; Amor a Pedro de Ravaneda per 500 lire e 5 soldi; Adalla a don Joan Naharro de Ruecas, reggente la real tesoreria, per 375 lire; a Francesco Terreros, tesoriere della crociata (thesorer dela crusada), uno schiavo di nome Soliman per 375 lire; al visconte di Sanluri Francesco di Castelvì uno schiavo di nome Abraim per 360 lire e 5 soldi; al maestro Pere Garau del Burgo una schiava di nome Embarca per 600 lire; al magnifico Francesco Pinna (primo coadiutore del razionale) uno schiavetto di nome Ali per 290 lire e 5 soldi; il magnifico Francesco Giagarachio compra un bambino di circa due anni per 172 lire; il patrone Andres de Lorca compra una schiava nera di nome Gemar per 253 lire e una schiava di nome Fatima per 500 lire; Miguel Angel Bonfant, notaio, compra una schiava detta Maria Negra per 282 lire e 5 soldi; il canonico Soler compra una schiava con una figlia di nome Tunes per 679 lire e 5 soldi; il canonico Spiga compra una schiava non identificata per 130 lire; il signor presidente del regno compra un’altra schiava per 500 lire.
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Inventario di schiavi del 18 ottobre 1604 In data 18 ottobre 1604, nel luogo detto La Gruta del Rey a Cagliari, si stila l'inventario della presa fatta da Andreu de Lorca nei mari di Berberia col suo brigantino.
L’inventario è fatto per ordine del procuratore reale don Nofre Fabra y Deixer, in presenza di Joan Bonfant procuratore patrimoniale e dell’alcaide reale Matheo Lopez e del notaio e scrivano della procurazione reale. Di questa presa spetta alla regia corte il 2%.
L’inventario riporta: una mora di nome Nigenim, una mora di nome Dia, una mora di nome Barca e suo figlietto di un anno, una mora nominata Gauta, una di nome Tunes con sui figlietto di 5 anni, una nominata Aixa, una nominata Fatima, un’altra di nome Fatima con due figli di un anno e di tre anni, una nominata Barca, un’altra Fatima, una mora nominata Deifa, un’altra detta Maria Negra; una mora di nome Gemar; due bambini piccoli di 4 e 8 anni; altri due bambini piccoli di 5 e 7 anni; altri 4 bambini piccoli di 8, 2, 12 e 13 anni; uno schiavo di nome Soliman; un altro di nome Monsor; un altro di nome Oguidet; un altro di nome Ali, un altro di nome Barc; due schiavi chiamati entrambi Belgassan; un altro di nome Abraim. Di questi schiavi alcuni sono stai presi dal viceré per il diritto di joya, ma non viene specificato né quanti né quali. Tutti loro vengono affidati ad Andres de Lorca. Testimoni sono Miguel Vidal, mercante maiorchino e un marinaio abitante di Cagliari di cui non si legge il nome. Il totale è di 33 schiavi inventariati.
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Incanto di schiavi del 25 maggio 1604 Incanto degli schiavi catturati nei mari di Pula da Pedro Miquel, alcaide della torre di San Macario, fatto per ordine di Gaspar Soler, delegato del procuratore reale Fabra y Deixer, e del primo coadiutore del maestro razionale, Francesco Pinna, e alla presenza del corridore pubblico Francesco Loi.
Sono state vendute le seguenti persone: uno schiavo di nome Marsoch alla marchesa di Villasor donna Isabel de Alagon e Requenses per 300 lire sarde; due schiavi a don Jaime de Aragall, governatore, uno per 252 lire sarde e l’altro per 210 lire sarde; a Pedro Virde Melone è stato venduto uno schiavo per 279 lire.
Si segnala che l’inventario che per prassi avrebbe preceduto questo incanto è assente nel registro BC 31.
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Incanto di schiavi del 5 novembre 1603 In data 5 novembre 1603 il pubblico corridore Matheo Usai stila la relazione del pubblico incanto fatto per ordine del procuratore reale nella città di Cagliari.
Sono stati venduti: al nobile don Johan Naharro de Ruecas uno schiavo per 262 lire sarde; un altro schiavo al dottor Mostellino per 267 lire sarde; a Joan Antonio Marti un altro schiavo per 270 lire sarde.
Il 4% del valore delle vendite spetta alla regia corte.
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Inventario di schiavi del 17 agosto 1603 Inventario della presa realizzata dal patrone Joan Baptiste Lalgiu nei mari di Berberia, fatto per ordine del nobile procuratore reale e giudice del reale patrimonio alla presenza del portiere ordinario della reale procurazione e dello scrivano sostituto del notaio e scrivano della procurazione reale.
L’inventario registra un moro di nome Adalla, uno schiavo di nome Amet, un altro di nome Ali e un altro di nome Amet. Tutti gli schiavi sono affidati a Johan Baptista Loqui.
Testimoni: Damia de Ziruli di Sassari e Francesco Guasch, scrivano e abitante di Cagliari. Si fa nota che il viceré ha preso un moro per il diritto di joya. Il diritto detto di "joya" era un privilegio che consisteva nell'usanza del viceré e del procuratore reale di pretendere, ad ogni pubblico incanto, uno schiavo o una schiava per sé a titolo di omaggio.
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Incanto di schiavi del 2 aprile 1603 Incanto degli schiavi predetti, fatto per ordine del procuratore reale con il consenso del maestro razionale. Il 4% della vendita spetta alla regia corte.
Il viceré acquista 7 schiavi: Turquis e Embargua per 220 ducatoni, Ali per 120 ducatoni, una schiava con figlioletto per 227 ducatoni e 42 soldi, Fatima per 138 ducatoni e 48 soldi, Amet preso per il privilegio di joya.
Il dottor Antiogo Fortesa acquista Aisse per 74 ducatoni.
Francesco Maglon acquista Casiba per 100 ducatoni e Ferech per 140.
Il conte di Laconi acquista Malorica per 150 ducatoni, Amet e Salem per 240 ducatoni.
A Joan Pere Soler, reggente la real cancelleria, viene venduto Amet per 100 ducatoni.
All’arcivescovo di Cagliari vengono venduti Ali e Amet per 220 ducatoni ed Embarga e Amira per 240 ducatoni.
Il conte di Quirra acquista Monsor per 125 ducatoni e altri due schiavi per 250 ducatoni.
Joan Francesco Jorgi acquista Sale per 120 ducatoni.
Al dottor Salvador Carcassona viene venduta Enbarca per 140 ducatoni.
Johan Naharro de Ruecas, tesoriere, acquista una schiava con una figlia per 168 ducatoni e 40 soldi.
Al reverendo Cristofol Gessa, commissario del Santo Offizio, viene venduta una schiava di nome Aisa per 68 ducatoni. Don Nofre Fabra e Deixer, procuratore reale, compra una schiavetta di nome Embarco per 90 ducatoni.
Antonio de Tola compra Embargue, schiavo, per 80 ducatoni.
Joan Angel Concas compra una schiava con suo figlio per 133 ducatoni e 18 soldi.
Ramon Cetrilla compra Aisa per 70 ducatoni.
A Hieroni Pintor viene venduto uno schiavetto di nome Ali per 50 ducatoni.
Marianna Aragones e Montelles compra una mora e suo figlio per 117 ducatoni.
Balthasar Caseri compra uno schiavo di nome Marquie per 38 ducatoni.
Joseph Garous, siciliano, acquista uno schiavetto di due mesi per 11ducatoni e mezzo.
Francesco Giagarachio compra una mora e due figli per 150 ducatoni.
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Inventario di schiavi del 27 marzo 1603 Inventario, fatto per ordine del procuratore reale e del portiere ordinario della procurazione reale, alla presenza del sostituto del notaio e scrivano della stessa, della presa di mori fatta nei mari di Berberia dal patrone Guilhelm Prebost con la sua tartana.
Del valore della detta presa il 4% spetta alla regia corte.
I mori catturati sono: Turquis e Embarga di 12 e 8 anni, Amet, Casiba di 14 anni, Ferech di due anni, Malorica di 17anni, Amet e Salem di 14 e 13 anni, Amet di due anni, Ali e Amet di 8 e 5 anni, Embarga e Amira di 6 e 5 anni, Monsor di 18 anni, due schiavi di cui non indica i nomi di 14 e 8 anni, Sale di 14 anni, Embarca di 18 anni, una schiava e una schiavetta senza nome di 22 anni e 3 anni, Embarca di 5 anni, Embarque di 4 anni, una schiava e uno schiavetto senza nome di 45 e 15 anni madre e figlio, Aisse di 40 anni, Ali di 8 anni, una schiava e uno schiavetto madre e figlio di 30 anni e un mese, Marque di 45 anni, un moretto senza nome né età, una schiava e due figli di 27, 4 e 6 anni.
Il totale delle persone catturate è di 42. Tutti gli schiavi sono stato affidati al capitano Guilhelm Prebost.
Testimoni sono Gasper Rovira e Francesco Guasch, abitanti di Cagliari.
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Incanto di schiavi del 17 novembre 1603 Il pubblico corridore Francisco Loi fa relazione in merito alla vendita nel pubblico incanto della città di Cagliari, per ordine del procuratore reale e col consenso del primo coadiutore del razionale, Francisco Pinna, i seguenti schiavi: uno schiavo negro di nome Amet al dottor Franci per 339 lire sarde; uno schiavo bianco di nome Amet per lo stesso prezzo a Joan Antoni Marti; uno schiavo bianco di nome Ali al conte di Quirra per 351,5 lire sarde.
Si aggiunge che il viceré ha preso uno schiavo per il diritto di joya. Il diritto detto di "joya" era un privilegio che consisteva nell'usanza del viceré e del procuratore reale di pretendere, ad ogni pubblico incanto, uno schiavo o una schiava per sé a titolo di omaggio.
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Inventario di schiavi del 4 novembre 1603 Inventario, fatto per ordine del procuratore reale e giudice del reale patrimonio alla presenza del portiere ordinario della reale procurazione e del notaio e scrivano della stessa, della presa fatta da Andres de Lorca nei mari di Berberia.
Sono stati catturati i seguenti schiavi: un modo bianco di nome Alì, un moro bianco di nome Amet, un moro bianco di nome Barca, un moro negro di nome Amet. I mori sono stati affidati a Joan Baptista Loqui.
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Incanto di schiavi del 15 settembre 1603 Il pubblico corridore e giurato della corte di Cagliari Matheo Usai fa relazione in merito alla vendita da lui effettuata al pubblico incanto per volontà del procuratore reale col consenso del maestro razionale una schiava di nome Sisa al dottor Joan Antoni Sanna per 400 lire sarde.
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Inventario di schiavi del 6 settembre 1603 Inventario della presa compiuta da Andreu Gisbert nei mari di Berberia fatto per ordine del procuratore reale e giudice del reale patrimonio, alla presenza del portiere ordinario della procurazione reale e dello scrivano della procurazione reale.
Sono stati trovati un moro di nome Ali e una mora di nome Sisa che sono stati affidati al capitano Joan Baptista Loqui.
Testimoni sono Nicholao Boi, portiere e Francesco Devila abitante di Cagliari.
Si fa nota che il viceré ha preso il moro per la joya. Il diritto detto di "joya" era un privilegio che consisteva nell'usanza del viceré e del procuratore reale di pretendere, ad ogni pubblico incanto, uno schiavo o una schiava per sé a titolo di omaggio.
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Incanto di schiavi del 9 giugno 1600 Il 9 giugno del 1600 si fa pubblico incanto nella città di Cagliari, alla presenza del nobile Procuratore Reale, per consenso, volontà e in presenza del magnifico Maestro Razionale e del pubblico Corridore.
Si vende uno schiavo di nome Mustafa, turco di Smirne del regno di Anatolia, portato da Teulada dal capitano Francesc Bramon, francese di Cassis, patrone di una fregata da corallo. Insieme a lui un altro moro di Tunisi di nome Amet. I due mori sono stati acquistati da don Pedro de Castelvì per 250 lire sarde e 5 soldi in totale.
Nel prezzo totale sono compresi i salari del notaio e del corridore: 8 lire 17 soldi e 8 denari.
Alla regia corte spettano 241 lire, 8 soldi e 4 denari.
Lo stesso giorno viene venduto anche un altro schiavo di nome Amet di Tunisi a don Hieroni Delitala di Alghero per 205 lire di moneta di Cagliari.
Dal prezzo totale si devono sottrarre i soldi per il salario del notaio e del corridore (6 lire 17 soldi e 8 denari), pertanto restano nette alla regia corte 198 lire sarde 3 soldi e 4 denari.
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Archivio Storico Diocesano di Cagliari
Dal XIII secolo fino al 1980 l'archivio rimase nel palazzo episcopale, dove confluirono più tardi anche i libri parrocchiali di tutta la diocesi e le carte relative alla disciplina ecclesiastica, conservate precedentemente nella Cancelleria, situata presso il Seminario tridentino. Nello stesso edificio fu inoltre trasferita la documentazione delle chiese, delle confraternite e delle cause pie della medesima diocesi, sistemate per lungo tempo nell'ufficio della Contadoria del palazzo arcivescovile. Dal 1981, invece, l'archivio ha trovato una nuova e più idonea sistemazione nei locali del nuovo seminario diocesano, dove è in corso di realizzazione l'ordinamento sistematico e l'inventariazione dei fondi archivistici.
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Don Alonso di Castelvì sconta il tempo rimanente dalla taglia di due schiavi Il nobile e molto reverendo don Alonso de Castelvi, canonico della sede di Cagliari, aveva precedentemente stipulato un accordo di affrancamento con Assia, sua schiava, e con il figlio di lei, Joan Pere, anche lui suo schiavo. Le condizioni affinché il patto fosse valido erano che i due lo avrebbero servito per altri 4 anni ciascuno, avrebbero pagato 300 lire e Assia non avrebbe potuto dimorare in altra casa fino al momento in cui avrebbe lasciato il regno. Al momento della stipula del presente atto, delle 300 lire pattuite, i due schiavi ne hanno pagato 130. Nonostante questo Castelvì, per sua esclusiva volontà, abbuona loro sia le lire rimanenti delle 300 da pagare, che il tempo della schiavitù che gli rimane da servire, rendendoli liberi e affrancati da oggi in poi, cosicché possano andare e venire come vorranno, che possano fare ciò che desiderano come persone libere. Permane la condizione che Assia non possa dimorare in un’altra abitazione. L’affrancamento vale anche per tutta la prole dei due schiavi. Assia e Joan Pere accettano questo accordo con reverenze e baciando le mani del Castelvì, al quale restituiscono tutti i vestiti che possiedono.
Testimoni sono Joan Antiogo Caviano, pescatore di Cagliati, e Mauro Ramires, prete di Stampace.
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Don Jaume de Castelvì libera Diego, suo schiavo, prima del tempo stabilito dall’atto di taglia Don Jaume de Castelvì, cavaliere dell’ordine di San Giacomo e marchese di Laconi, libera Diego, suo schiavo che lo ha servito per parte dei 4 o 5 anni che doveva in base all’atto di taglia redatto per mano del notaio Alessio Gabriele Horda. Il marchese vuole che il restante tempo del servizio gli sia abbuonato. Quindi rende libero Diego da qualsiasi servitù insieme a tutta la sua prole, cosicché potrà andare e venire come più gli piacerà come un qualsiasi libero cittadino, trattare, stipulare contratti e testimoniare.
Testimoni sono Thomas Scano, prete abitante a Cagliari, Antonio Mannu, negoziante di Sassari al presente abitante a Cagliari.
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Atto di liberazione di Axa che ha servito e pagato quanto dovuto Elisabetta Alagon y Requesens, marchesa di Villasor, vedova di don Martino de Alagon, marchese di Villasor, signore dell’incontrada di Trexenta e di Parte Barigad’e Susu, libera la sua serva e schiava bianca di nome Axa, di 24 anni circa, del luogo di Bona, che per qualche anno ha servito bene, fedelmente e legalmente nella sua casa e per la sua famiglia. Axa ha inoltre ripagato la sua padrona delle 360 lire che era costato il suo acquisto, parte delle quali messe di tasca sua e parte pagate grazie al prestito del patrone Salvatore Izzo, napoletano di Torre del Greco. Donna Elisabetta libera con Axa anche tutta la sua prole: potranno muoversi e risiedere dove vorranno, testimoniare, trattare e stipulare in giudizio e scegliere un padrone che vorranno, se vorranno, senza limitazione. Testimoni sono Joanne Thoma Mundo di Cagliari e Joanne Maceddo, negoziante di Stampace, e Antiocho Falco, scrivano di Cagliari, intervenuto comes sostituto del notaio.
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Miquel Roca libera Bonor che ha servito per tre anni e pagato 380 lire Miquel Roca, quarto consigliere della città di Cagliari nel presente anno, afferma di aver comprato anni fa lo schiavo bianco Bonor. Consideranto che Bonor, come da accordi, ha servito bene e fedelmente in casa sua e per la sua famiglia, obbedendo a ogni ordine del suo padrone per tre anni e qualche mese e ha pagato al suo padrone 380 lire di moneta sarda, Roca libera il suo schiavo e tutta la sua prole: da ora in avanti potranno muoversi, andare e venire, abitare dove vorranno, fare ciò che vorranno come liberi cittadini senza più alcun obbligo di servitù.
Testimoni sono Joan Angelo Concas, mercante di Cagliari, e Paulo Morteo, mercante genovese abitante a Cagliari.
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Atto di liberazione di Amet che ha pagato il proprio riscatto e servito per gli anni dovuti Donna Elisabetta Alagon y Requesens, marchesa di Villasor, vedova e curatrice dell’eredità di don Martino de Alagon, marchese di Villasor, signore dell’incontrada di Trexenta e di Parte Barigad’e Susu, rispettando le ultime volontà testamentarie del marito libera Amet, schiavo bianco del luogo di Bona. Amet ha servito bene e fedelmente per alcuni anni (nel testo vi è uno spazio bianco in luogo del numero di anni serviti), obbedendo a ogni ordine che gli è stato impartito e ha pagato a donna Isabella, come da accordi presi con don Martino, 300 lire di moneta sarda, valenti 100 ducati d’oro. La libertà e l’affrancamento valgono anche per tutta la prole di Amet, che d’ora in avanti potrà andare e venire come vorrà, dimorare dove vorrà, comparire in giudizio, testimoniare, stipulare accordi, senza più alcun obbligo di servitù come un qualsiasi uomo libero.
Testimoni sono Vincentio Zonca, causidico di Stampace, e Petro Meloni di Villanova.
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Accordo di taglia tra Amet Mardaix e Jaume Santoro Il reverendo canonico Jaume Santoro, domiciliato nell’appendice di Llapola, dichiara di aver ricevuto dal suo schiavo Amet Mardaix, moro bianco di Tunisi, 81 lire di moneta cagliaritana. Si tratta della prima parte di un totale di 200 lire totali che Amet deve consegnare al suo padrone in cambio del proprio riscatto. Santoro afferma che la condizione imposta per l'affrancamento di Amet è che mentre pagherà le 119 lire restanti, egli dovrà prestare servizio in tutto ciò che gli verrà comandato. A sua volta il canonico Santoro dichiara di accettare gli accordi e promette di affrancare e rendere libero Amet nel momento in cui terminerà di pagare quanto dovuto.
Amet accetta questi patti e giura, con il dito alzato e con il viso rivolto a oriente, di rispettarli .
Testimoni sono Francesch Leca, sarto, e Jacinto Faris, scrivano della Lapola, abitante a Cagliari.
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Accordo di taglia tra don Jaume di Castelvì e il suo schiavo Hieronim Perez de Gusman Don Jaume de Castelvì, marchese di Laconi, intende liberare il suo schiavo Hieronim Perez de Gusman. Infatti Hieronim ha consegnato al suo padrone, in cambio della propria libertà, 65 patacche da 2 reali castigliani ciascuna. L’accordo di liberazione prevede che lo schiavo, oltre al pagamento della suddetta cifra, presti altri due anni di servizio fedele, trascorsi i quali sarà libero e affrancato senza più alcun obbligo di schiavitù.
Testimoni sono Thomas Moreno, scrivano, e Simoni Carta, causidico, abitanti entrambi a Stampace di Cagliari.
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Archivio storico del Comune di Alghero
Dopo le numerose dispersioni e danneggiamenti di documenti verificatesi a seguito dei massicci allagamenti avvenuti negli anni ’80 del Novecento, nel 1990 la parte più antica dell’Archivio del comune di Alghero fu dichiarata di particolare interesse storico e culturale dall’allora Ministero per i Beni culturali e ambientali. Questo permise di realizzare, tra il 30 maggio 1994 e il 29 maggio 1995, un’importante opera di recupero, riordino e inventariazione delle carte sopravvissute, concretizzatasi infine nella realizzazione di un’apposita sezione, separata da quella corrente, votata alla tutela e valorizzazione.
Da quel momento, la sezione storica dell’Archivio del Comune di Alghero conserva la documentazione relativa ai periodi in cui la città fu sotto il controllo genovese, aragonese, spagnolo e piemontese, come anche le serie derivate dall'attività del comune postunitario in tutte le relative materie di competenza. Comprende dunque una raccolta di pergamene (1319-1726), carte reali (1355-1715) ed altre serie documentarie, alcune sull'estrazione del corallo – una delle principali risorse economiche del luogo – e sull'attività dei gremi, associazioni di mestiere di origine catalana. In particolare, l'elemento più prestigioso è costituito dai registri dei privilegi concessi alla città prima dai sovrani aragonesi, e spagnoli poi, noti come Codici A, B, C, D (XIII- XVIII secc.), scritti in catalano, castigliano e latino.
La documentazione è ordinata in parte per materia, seguendo l'ordine cronologico, e in parte in base alle categorie legali per classi e serie omogenee, ad eccezione delle pergamene che costituiscono una raccolta a sé ordinata cronologicamente.
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B 06
Il volume raccoglie provvedimenti normativi emanati dai sovrani aragonesi per il governo del Regno di Sardegna e diretti, nella maggior parte dei casi, agli ufficiali regi residenti nell’isola.
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B 04
Il volume raccoglie provvedimenti normativi emanati dai sovrani aragonesi e spagnoli per il governo del Regno di Sardegna e diretti, nella maggior parte dei casi, agli ufficiali regi residenti nell’isola.
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B 03
Il volume raccoglie provvedimenti normativi emanati dai sovrani spagnoli per il governo del Regno di Sardegna e diretti, nella maggior parte dei casi, agli ufficiali regi residenti nell’isola.
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B 01
Il volume raccoglie provvedimenti normativi emanati dai sovrani aragonesi e spagnoli per il governo del Regno di Sardegna e diretti, nella maggior parte dei casi, agli ufficiali regi residenti nell’isola.
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Procurazione reale del Regno di Sardegna
La figura del Procuratore reale venne istituita da Ferdinando I d'Aragona il 1 giugno 1413, in sostituzione del precedente ufficio di Amministratore generale dei redditi (1323). Tuttavia, fu solamente sotto il regno di Alfonso il Magnanimo (1416-1458) che tale magistratura assunse la sua fisionomia definitiva, divenendo il vertice dell'amministrazione finanziaria del Regno di Sardegna.
Tra XV e XVIII secolo, il Procuratore reale ebbe infatti il compito di sovraintendere e dirigere gli uffici patrimoniali dell'isola, gestendo il patrimonio regio attraverso atti di ordinaria (riscossione dei diritti e delle rendite regie, stipulazione di contratti d'appalto e di locazione a breve termine, riparazione degli immobili, come castelli e fortificazioni) e straordinaria amministrazione (concessione in feudo e in enfiteusi dei beni della Corona, riscatto di censi e canoni, concessione di assensi alla alienazione dei feudi, permessi per esportare merci, ricognizione dei diritti dei concessionari regi). Inoltre, essendo investito di competenze giudiziarie in qualità di presidente del Tribunale del Regio patrimonio, al Procuratore reale spettava anche esaminare e dirimere in prima istanza tutte le cause civili e criminali aventi per oggetto il patrimonio regio e la sua tutela.
La parte amministrativa di tali attività era esercita tramite una mezza dozzina di luogotenenti distribuiti per tutto il territorio del Regno, e una rete di ufficiali subalterni posti a capo delle diverse dogane, bailie, maggiorie di ville, portolanie, zecche, saline e uffici d'incontrade. Nelle funzioni giudiziarie, invece, il Procuratore reale era coadiuvato dall'Avvocato fiscale, dal Maestro razionale, dal Tesoriere reale, dal Reggente la Real cancelleria e da alcuni rappresentanti della Reale udienza.
La figura posta al vertice della Procurazione reale era dunque investita di un potere vastissimo nell’attuazione dei suoi compiti. Un potere accresciuto dal fatto che il Procuratore, seppur sottoposto a sindacatura da parte del Maestro razionale, doveva rispondere delle sue azioni solamente al sovrano e a nessun altro alto ufficiale del Regno, neppure del viceré.
Sospesa durante l'occupazione austriaca (1708-1717), questa magistratura fu definitivamente soppressa con il passaggio del Regno di Sardegna ai Savoia (1720) e sostituita con l’Intendenza generale.
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Monço, schiavo attallato, tratta per riscattare la schiava Mira Don Melchiorre Torrella, barone di Capoterra, ha comprato da Francisca Palou e Garcet, vedova di Joan Antonio Palou, ex avvocato fiscale del regno, una schiava bianca di nome Mira, nata a Bona, per 250 lire di moneta del presente regno.
Delle 250 lire ne ha pagato 220 il barone Torrella stesso e 30 lire gliele ha date Monço, schiavo di Joan Angel Quessa, mercante di Cagliari. Si specifica che Monço e il suo padrone Joan Angel Quessa hanno stipulato un patto di taglia che avrà termine nel mese di dicembre di questo stesso anno, e dopo la fine della taglia lo schiavo sarà libero.
Il barone Torrella dice di aver comprato la schiava Mira in nome, per conto e commissione dello schiavo Monço stipulando i seguenti accordi.
Il Torrella promette che, non appena Monço gli avrà ripagato le 220 lire che ha anticipato per l’acquisto di Mira, lui gli consegnerà la schiava affrancata e libera e Monço ne potrà fare ciò che vorrà nella sua piena volontà. Monço inoltre si obbliga a Melchior Torrella affinché, nel frattempo che non avrà terminato di ripagargli il suo debito, starà in casa sua insieme a Mira e lo servirà da schiavo in tutti i servizi che lui gli comanderà, e il suo precedente padrone, quando finirà la taglia, gli permetterà di trasferirsi nella casa del Torrella. Inoltre promette che, durante il tempo rimanente della taglia, ogni giorno porterà, a spese di Torrella, due barili d’acqua al Quessa e due barili di pescato. Ancora il barone Torrella pro mette a Monço per tutto il tempo che lui e Mira staranno a casa sua lui li nutrirà con cibo e bevande.
D’accordo le due parti decidono che Monço non potrà ricevere soldi da nessuna persona di Cagliari né del resto del regno di Sardegna per restituire i soldi che deve al barone, ma devono essere soldi di giornate lavorate, guadagnati o che gli verranno inviati dalla Barberia. Ancora d’accordo stabiliscono che se Monço non adempie a tutte le cose stabilite, Mira rimarrà schiava di Melchior Torrella come se questo atto non fosse mai stato fatto. Se invece Monço ne paga solo parte e il rimanente viene pagato da Mira, allora Mira sarà libera e franca. Tutte le parti promettono di adempiere agli accordi senza ritardi. Testimoni sono Nicolao Montelles, mercante di Cagliari e Nicolao Porxella della villa di Serdiana.
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Don Joan Naharro de Ruecas libera in anticipo Barquet di Bona rispetto ai tempi previsti dal contratto di taglia Don Joannes Naharro de Ruecas ha concesso taglia al suo schiavo Barquet di Bona nel 1599. Barquet ha servito nella casa del padrone per tre anni e ha pagato 85 scudi, prezzo del proprio riscatto nonché cifra che l’acquisto dello schiavo era costato a don Joan. Nel presente atto don Joan sconta a Barquet i tre mesi e 21 giorni che rimarrebbero del servizio e lo libera in anticipo: dal giorno presente Barquet potrà muoversi, spostarsi e andare dove vorrà nel mondo come uomo libero, testimoniare, fare contratti e tutto quello che un uomo libero può fare. La libertà di Barquet è estesa anche a tutta la sua prole.
Testimoni sono Antonius Maynes, sarto di Stampace, e Luca de Vico di Sassari, abitante a Villanova di Cagliari.
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Amet di Tunisi, schiavo attallato, fa un accordo col padrone della propria moglie, la schiava Turquia Amet di Tunisi, schiavo di Antoni Molarja, sottoposto a taglia e sposato con Turquia di Bona, schiava del nobile don Antiogo Cani, afferma di voler portare Turquia con sé quando si imbarcherà per la Barbaria. Dunque Amet si accorda con don Antiogo Cani per pagare il riscatto di Turquia 500 lire di moneta cagliaritana, pagate poco a poco, e così don Antiogo consente che quando Amet si imbarcherà porterà con sé Turquia. Per garanzia delle cose concordate, Amet obbliga la sua persona e i suoi beni mobili e immobili. Lo firma e giura more saracenorum.
Testimoni sono Visent Guiso e Miquel Angel Bonfant, abitanti di Cagliari.
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Accordo di taglia tra Miquel Calabres e Salem di Bona Miquel Calabres, cittadino di Cagliari, dà talla al suo schiavo Salem, moro di Bona, purché Salem sia obbligato alla stessa servitù e schiavitù per altri tre anni a partire da oggi. Inoltre entro la fine dei tre anni Salem sarà obbligato a pagare 160 lire, prezzo che costò a Calabres il suo acquisto, compreso lo stipendio del pubblico corridore. Di queste 160 lire Calabres ne ha già ricevute 25, dunque ne restano da pagare a Salem 135.
Testimoni sono Simo Merea, mercante genovese, e Joan Jaco Rubio di Nuoro, abitante di Cagliari.
Tre anni dopo, il 2 novembre 1614, Calabres riconosce a Salem che ha ricevuto da lui in diverse partite e giorni diversi 160 lire che sono il prezzo del suo riscatto, conformemente all’atto di taglia firmato il 25 giugno 1611. Quindi firmando l’apoca di pagamento lo fa anche libero e affrancato dalla schiavitù, così che possa andare e venire come vorrà e fare ciò che vorrà come un uomo libero.
Testimoni sono il reverendo Pere [Cavassa], prete e benificiato della sede primaziale di Cagliari e Jaime Gamboi, abitante di Cagliari.
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Accordo di taglia tra Gregori Guerau e Ibraim di Niemsa Il molto reverendo dottore in sacra teologia Gregori Guerau de Pinna, canonico e vicario nell’arcivescovato di Cagliari per l’illustrissimo e reverendissimo don Francesco Esquivell, arcivescovo di Cagliari, dona taglia a Ibraym. ungaro di Niemsa nelle parti di tramontana o levante, suo schiavo bianco, di statura alta, di più di 40 anni. La taglia prevede che lo schiavo debba servire per 4 anni il suo padrone e la sua famiglia in casa, bene e lealmente, cominciando i 4 anni dal giorno presente. Dovrà inoltre pagare 300 lire di moneta di Cagliari e dovrà essere leale, non rubare niente né in casa né fuori, non fuggire, tornare a casa ogni notte al tocco della preghiera, non ubriacarsi. Se non seguirà ognuno degli obblighi, la taglia sarà nulla. Per il sostentamento della casa del padrone lo schiavo dovrà andare a prendere l’acqua da bere a Palabanda e promette che per ogni anno darà 4 scudi per la raccolta dell’acqua che si conserverà nella cisterna. E questo oltre alle 300 lire che deve pagare. Il suo padrone promette di alimentarlo e vestirlo e, alla fine della taglia, promette fargli carta di affrancamento. Lo schiavo non potrà spostarsi dalla casa del padrone finché non avrà modo di imbarcarsi per tornare nella sua terra e se il viaggio non dovesse avere buon esito dovrà tornare al servizio del padrone finché non riuscirà a uscire dal regno di Sardegna. Abraim (Ibraim) accetta e promette di osservare i patti. Testimoni sono Antiochus Holla, boscaiolo di lapola e Gavinus Penducho, scrivano di Cagliari.
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Accordo di taglia tra Pere Blancafort e Amet di Algeri Pere Blancafort cittadino di Cagliari concorda i capitoli di taglia con Amet di Algeri, suo schiavo. Amet dovrà servire lui e la sua famiglia con tutti i doveri di che gli saranno comandati per sei anni contati dal giorno presente; dovrà pagare 400 lire di moneta cagliaritana da pagare secondo quanto guadagnerà dal suo lavoro: dovrà dare al suo padrone tutto quello che guadagnerà giornalmente. Amet promette che non fuggirà, non ruberà in casa né fuori casa, non si ubriacherà e ogni notte, suonata la preghiera, si farà trovare in casa del padrone. Se mancherà di fare una di queste cose la taglia sarà nulla. Inoltre Blancafort non sarà obbligato a vestirlo, farlo sposare e nutrirlo con cibo e acqua. Alla fine di questa taglia, se Amet avrà adempiuto a tutti gli obblighi, Blancafort promette di dargli la libertà. Inoltre si stabilisce che, nel caso finisca la taglia e abbia pagato come detto, che lo schiavo non possa cambiare casa se non per tornare a casa sua nella sua terra, e se il viaggio non dovesse rivelarsi fruttuoso e non riuscisse ad arrivare nella sua terra, allora dovrà tornare a casa del padrone e servirlo nuovamente secondo i patti. Amet accetta questa taglia e i patti, promettendo di servire bene e lealmente e di pagare le 400 lire. Per maggiore sicurezza del suo padrone, in caso fuggisse, porta come garanzia Amet di Algeri schiavo di don Gaspar de Requesens e Abarca schiavo del quondam Joan Antonio Palou di Tabarca e uno schiavo di Miquel Calabres proveniente da Gerbens ma di cui non viene indicato il nome, tutti presenti per far sì che ciò che Amet promette sia obbligato a mantenere. Non solo, ma se lui fuggirà e non dovesse tornare, si impegnano a pagare loro stessi le 400 lire di taglia a Blancafort e a servirlo in vece di Amet oppure a pagare perché venga svolto per il Blancafort lo stesso servizio che avrebbe dovuto svolgere Amet durante il periodo di taglia come se non fosse mai fuggito. Blancafort accetta queste garanzie ad ulteriore patto che se uno di questi schiavi venisse nel frattempo liberato, provvederà a sua volta a trovare un’altra garanzia. Testimoni: mestre Antiogo Meli e Francesch Jorgii, filatori abitanti a stampace e marina e lo schiavo (di cui non scrivono il nome) di Miquel Calabres.
Il 24 luglio dello stesso anno, Abarca, schiavo appartenuto prima al dottor Juan Antoni Palou, avvocato fiscale e patrimoniale e, dopo la sua morte, a sua moglie Francesca Palou y Garcet, essendo stato nel frattempo affrancato, firma un atto in merito alla sua partecipazione in qualità di garante all’atto di taglia del 12 maggio 1606 a favore di Amet di Algeri. La condizione della sua garanzia nell’atto di taglia era che, nel caso fosse stato liberato nel frattempo, avrebbe provveduto a dare un altro moro in suo luogo come garante. Quindi considerato che ora Abarca intende ritornare nella sua terra, essendo stato liberato, in presenza di Pere Blancafort dà in cambio di se stesso come garante Abrahim di Bona, presente a questo atto, schiavo di Gaspar Bonato, mercante di Cagliari, con le medesime obbligazioni. Abrahim accetta le responsabilità di garanzia. Promette che sarà tenuto a tutte le cose che Abarca promettè. Tesimoni sono Gavinus Penducho Carta, scrivano, e Jacobus Gamboa, portario regio.
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Accordo di taglia tra Joan Antonio Sanna e Antioco della Conpceçion e di Tetuan Capitoli di taglia stipulati tra il dottore in arti e medicina Joan Antoni Sanna, protomedico di Cagliari, e il suo schiavo, cristiano battezzato, Antiogo della Conpceçion della città di Tetuan in Marocco. Sanna concede taglia per il tempo di 4 anni a partire da oggi ad Antiogo a patto che in questo tempo gli faccia tutti i servizi che gli verranno ordinati sia di giorno che di notte, e che, terminati i servizi, chieda licenza per andare a servire altre persone per guadagnare il denaro necessario a pagare il prezzo del proprio riscatto e, se sarà necessario, per far sì che il dottor Sanna possa disporre di un altro uomo per fare il detto servizio di Antiogo nel caso in cui lui non si trovasse in casa per fare il suo dovere. Tutto ciò a condizione che non fuggirà, non ruberà né a casa del Sanna né a casa di nessun’altra persona e non si ubriacherà. In caso contrario la presente taglia sarà dichiarata nulla, il denaro che Antiogo gli avrà dato fino a quel momento sarà perduto e Antiogo dovrà tornare schiavo e rimanerlo perpetuamente. Un altro accordo è che entro i 4 anni dovrà pagare l’intero suo riscatto, stabilito in 250 lire in contanti e, se non avrà finito di pagare, dovrà continuare a servire il Sanna, alle stesse condizioni, finché non terminerà. Il Sanna specifica che ogni settimana o ogni mese Antiogo dovrà consegnargli il denaro che guadagnerà – fino al raggiungimento della somma totale – e lui gli rilascerà ogni volta ricevuta. A sua volta Sanna si impegna a nutrirlo, dargli da bere, curarlo se malato. Alla fine dei 4 anni, se tutto andrà bene, il Sanna farà carta di affrancamento ad Antiogo, il quale accetta tutti gli accordi.
Testimoni sono Joan Bonungo e Thomas Fancello, scrivano, abitante a Cagliari.
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Accordo di taglia tra Joan Antonio Sanna e Amet di Aly di Tetuan Il dottore in arte e medicina Joan Antonio Sanna, protomedico, concede taglia per tempo di 5 anni da oggi in avanti ad Amet di Aly, suo schiavo moro di Totuan in Barberia. In questi 5 anni Amet dovrà fare tutti i servizi che gli verranno ordinati, di giorno come di notte. Solo dopo aver terminato questi servizi potrà domandare di poter andare a servire per altri per guadagnare e pagare il prezzo del proprio riscatto che si concorda dovrà essere di 300 lire in denaro contante. Tutto ciò a patto che non fugga e non rubi a casa del suo padrone né di nessun’altra persona e che non si ubriachi. Se contravverrà a questi obblighi, la taglia sarà nulla e il denaro che avrà dato fino ad allora sarà perduto e il dottor Sanna non sarà obbligato a restituirgli nulla. Inoltre Amet dovrà tornare a essere schiavo come lo era prima della stipula della taglia. Altra condizione posta è che, alla fine dei 5 anni, se non avrà ancora terminato di pagare il proprio riscatto, Amet dovrà servire finché non avrà terminato. SI stabilisce che ogni settimana o ogni mese Amet dovrà consegnare a Sanna quanto guadagnerà dal suo lavoro e Sanna gli rilascerà una ricevuta. Ancora Sanna si impegna a dargli da mangiare, da bere, vestirlo e curarlo se malato per il tempo della taglia. Viene indicato Sadorro Bonaventura, cristiano affrancato residente a Cagliari, come garante affinché Amet non fugga e affinché il riscatto venga pagato anche se fuggirà e non tornerà. Inoltre si stabilisce che se il dottor Sanna morirà prima del termine dei 5 anni, saranno i suoi eredi a ricevere il resto del denaro e a liberare Amet. Amet accetta le condizioni e promette di non rubare e non fuggire, consapevole delle pene stabilite in caso contrario.
Testimoni sono Antoni Peis, alguazir real, e Pere Pova, sotto mostazzaffo, abitanti a Cagliari.
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Affrancamento di Mabruch di Biserta in seguito ad accordo di taglia Benedetto Natter, mercante genovese domiciliato a Cagliari, riconosce a Mabruch, suo schiavo bianco di Biserta, che da lui ha ricevuto in diverse partite 100 scudi d’oro che egli gli doveva per il proprio riscatto, come stabilito dall’atto di taglia firmato e concordato tra i due il 17 febbraio 1613. Riconosce anche che Mabruch lo ha servito per sei anni come concordato. Pertanto firma questa apoca di pagamento e rende libero e affrancato il suo schiavo Mabruch e tutta la sua prole. D’ora in avanti potrà andare e venire come vorrà, libero da ogni servitù, potrà vivere e risiedere in ogni luogo che desidererà, stipulare accordi, testimoniare e fare tutto come uomo libero. Rabadan accetta gli accordi, rende grazia e bacia le mani del padrone.
Testimoni sono Ambros Pi e pacifico Natter, tutti e due mercanti genovesi domiciliati a Cagliari.
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Accordo di taglia tra Miquel Calabres e Rabadan di Algeri Capitoli di taglia concordati tra Miquel Calabres, mercante di Cagliari, e il suo schiavo Rabadan di Algeri. I due concordano, innanzitutto che Rabadan dovrà servire il suo padrone per 5 anni da ora in avanti come schiavo in tutti i servizi di casa che gli verranno ordinati, di giorno e di notte. Se alcune volte lo schiavo del figlio di Miquel Calabre, Antiogo Calabres, sarà malato, Rabadan lo dovrà sostituire. Inoltre Rabadan dovrà pagare 325 lire entro i 5 anni della taglia e, se finiti i 5 anni non avrà finito di pagare, dovrà restare al servizio di Calabres finché non avrà completato il pagamento. Ancora, si concorda che durante questi 5 anni non dovrà fuggire, non dovrà rubare a pena di invalidare la validità di questa taglia.
Allo scadere dei 5 anni e avvenuto il pagamento, Calabres immediatamente libererà e affrancherà Rabadan e tutta la sua discendenza, così che potrà andare e venire dove e come vorrà, fare contratti, testimoniare e fare tutte le cose come un uomo libero. Rabadan accetta gli accordi rendendo grazie e baciando le mani del suo padrone.
Testimoni sono Antiogo Cara di Sardara e Luca Adceni, scrivano di Selargius, abitante a Cagliari.
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Due schiavi intervengono come garanti in un atto di taglia Joan Peris, mercante domiciliato a Cagliari, e il suo schiavo di nome Soliman della città di Bona, nell’anno passato avevano firmato atto di taglia. Il contratto prevedeva che, per il suo riscatto, Soliman pagasse 400 lire. Di queste 400 lire ne ha pagato una parte.
Tuttavia è accaduto che alcune volte lo schiavo sia fuggito, il Periz gli ha messo una catena che ancora oggi porta. Altri due schiavi, Amet di Bona, schiavo di Pere Morteo, attallato, e Fargella di Bona, anche lui attallato e schiavo prima appartenuto a don Jaume de Aragall e oggi a Antonio Molarja, mercante domiciliato in Cagliari, si offrono come garanti in solido affinché il Periz tolga la catena a Soliman e, se Soliman dovesse fuggire prima di aver finito di pagare il rimanente del proprio riscatto, pagheranno loro tale cifra.
Periz potrebbe obiettare che l’accordo di taglia sia da ritenersi nullo vista la fuga di Soliman, e che lo schiavo debba rimanere tale. Invece si accontenta del fatto che saranno gli altri due a garantire la cifra che gli è dovuta nel caso di ulteriori mancanze da parte di Soliman e accetta di togliergli la catena e di mantenere l’impegno di renderlo franco secondo l’atto di taglia. Pertanto Soliman si impegna a pagare quanto resta del suo riscatto al suo padrone e promette di non fuggire più e non andarsene prima di aver terminato il pagamento.
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Accordo di taglia tra Joan Costa e Ali di Algeri Capitoli della taglia firmati tra Joan Costa, mercante genovese domiciliato a Cagliari, e Aly di Algeri, suo schiavo. Prima condizione è che Aly serva il Costa per sei anni da questo momento in avanti come schiavo, che faccia tutti i servizi che gli vengono comandati sia di notte che di giorno, che ogni giorno porti un barile d’acqua fresca o più se il Costa ne vorrà di più. Promette poi che non fuggirà, che non ruberà e non si ubriacherà. Se farà il contrario questa taglia sarà nulla. Durante tutto il tempo della taglia il Costa nutrirà Aly e lo vestirà. Inoltre Aly dovrà pagare 100 ducati da 13 reali, corrispondenti a prezzo del suo acquisto, al suo padrone entro i 6 anni di questa taglia, e se finiti i sei anni non avrà pagato, dovrà continuare a servire a queste condizioni finché non finirà di pagare. Non appena avrà finito di pagare e saranno trascorsi i sei anni sarà libero, e così tutta la sua prole.
Aly accetta e promette che adempirà a tutto quanto detto senza ritardo e, per maggior sicurezza del Costa, gli indica come garanti Aly di Tunisi, schiavo appartenuto al magnifico dottor Joan Massons, giudice della reale udienza, e che ora serve in casa del barone Melchior Torrella, e Amet di Bona, schiavo di Pere Morteo, mercante genovese abitante a Cagliari. Aly di Tunisi e Amet di Bona sono presenti a questo atto, firmano e promettono di obbligarsi agli accordi stipulati da Aly di Algeri, garantendone il rispetto.
Testimoni sono Joan Francesch Leca e Julia Leo, scrivani abitanti a Cagliari.
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Accordo di taglia tra don Joan Naharro de Ruecas e Amet di Algeri Capitoli di taglia concordati tra don Joan Naharro de Ruecas, reggente la reale tesoreria, e Amet di Algeri, prima schiavo di don Gilabert Centelles y Carroz, marchese di Quirra, e ora schiavo di don Joan Narro de Ruecas. Amet promette che servirà don Joan in casa sua per lui e per la sua famiglia come schiavo, in tutti i servizi che lui gli ordinerà, per il tempo di sei anni da qui in avanti. Promette che non fuggirà, a pena di rendere nulla questa taglia. Promette che oltre a prestare i servizi gli pagherà 300 lire per il proprio riscatto. E se dovesse fuggire dopo aver pagato il denaro sarà come se non lo avesse pagato e resterà schiavo come se la presente taglia non fosse esistita. Allo stesso modo don Joan promette di rendere libero Amet dopo i sei anni di servizio e il pagamento delle 300 lire. Testimoni sono Nicolao Montano e Joan Meli, abitanti di Cagliari, e Joan Thomas Leoni, scrivano abitante a Cagliari intervenuto in questo atto come sostituto del notaio.
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Trattative tra schiavo e padrone in seguito a un accordo di taglia Melchior Torrella, donzello, barone di Capoterra, aveva concesso la taglia al suo schiavo Amet Jactar di Algeri. Amet aveva promesso di dare al Torrella 189 lire per il proprio riscatto e di servirlo come schiavo per 5 anni, al termine dei quali il Torrella lo avrebbe reso libero. Amet però adesso prova a trattare col padrone e dice che se il Torrella vorrà, gli darà non più 189 lire ma 250 e lo servirà fino alla Pasqua del 1612, e chiede di essere fatto franco a partire da quella data. Il Torrella, nonostante il precedente atto di taglia, accetta queste richieste. Quindi Amet gli paga 225 lire subito e promette di dargli le 25 lire rimanenti il giorno di Pasqua. Dunque Torrella riconosce che ha ricevuto il denaro e si impegna a fare libero e affrancato il detto Amet e tutta la sua prole come concordato.
Testimoni sono Francesch Meloni scrivano di Villanova, Melchior Urru, scrivano di Cagliari, e Joan Thomas Leoni, scrivano, sostituto del notaio intervenuto a questo atto.
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Riconferma di un accordo di taglia in seguito a un’eredità Angela Jorgi e Cascali, vedova ed esecutrice delle volontà testamentarie del quondam Joan Francisco Jorgi, cavaliere di Cagliari, e Padre Antiogo Carta, rettore del collegio della compagnia di Gesù di Cagliari, amministratore della causa pia istituita dal Jorgi e amministrando la sua eredità, in base all’atto firmato il 23 agosto 1611 si impegnano a rendere libero Xaba (Xaban), schiavo bianco moro di Bona, dal giorno in cui finirà il tempo del suo accordo di taglia. Infatti nel testamento il Jorgi affermava la volontà che il suo schiavo Xabà finisse il tempo della taglia che aveva concordato con lui e che servisse per quel tempo sua moglie Angela, obbedendo e facendo ciò che doveva. Se non lo avesse fatto, sua moglie avrebbe potuto venderlo. Se invece avesse obbedito ai suoi doveri, alla fine di quel tempo di taglia sarebbe stato libero.
Testimoni sono Antonio Flore, sarto di Villanova, Salvador Sarroch, farmacista di Cagliari.
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La negoziazione di Anasar di Bona per la libertà Anasar di Annaba è schiavo a Cagliari dove serve la nobile Juana de Castelvì e Amat.
Nel 1611 ottiene un affrancamento dilazionato: resterà schiavo per altri quattro anni, pagando duecentocinquanta lire e adempiendo ai compiti assegnati dalla padrona.
Dovrà trasportare almeno due barili d’acqua al giorno dalle fontane pubbliche: un compito che gli permetterà di uscire dall’ambiente domestico, incontrare gli abitanti della città e, magari, integrarsi nel tessuto sociale.
Per assicurare la buona riuscita del suo accordo di talla, Anasar contatta tre schiavi, anch’essi nella sua stessa condizione, che si impegnano come fideiussori. Si tratta di Ali, Ali e Abdalla, schiavi rispettivamente del dottor Francesch Jagarachio, del giudice della Reale Udienza Joan Masons e del Tesoriere Reale don Joan Naharro de Ruecas.
I tre fideiussori si impegnano nei confronti di donna Castelvì e Amat, promettendo di soddisfare gli accordi presi da Anasar nel caso in cui egli non fosse in grado di adempiervi.
Tuttavia, la garanzia non si renderà necessaria, poiché Anasar rispetterà la parola data e, anzi, terminerà di pagare quanto dovuto con tre mesi di anticipo.
Per essere liberato prima del tempo cerca una trattativa con la padrona. Propone a donna Juanna di fornirle un servo che si occupi di garantirle il servizio per i tre mesi rimanenti, in cambio della firma immediata della carta di affrancamento. La nobildonna accetta: Anasar è libero il 2 febbraio del 1615.
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Accordo di taglia tra Antoni de Tola e Moyse di Candia Capitoli di taglia stipulati tra lo schiavo ebreo Moyse Çaspal di Candia (Creta, Grecia) e il suo padrone Antoni de Tola, donzello di Cagliari. Moyse promette di pagare il proprio riscatto 800 lire, di cui ha già dato, in presenza del notaio infrascritto, 93 lire. Le restanti 707 le pagherà a richiesta del detto Tola. Nel frattempo che avrà terminato di pagare quanto dovuto, promette di servire come compratore per il Tola, comprandogli tutte le cose che gli occorreranno per la sua casa, senza frode alcuna. Durante lo stesso tempo Moyse potrà lavorare in altre case della città di Cagliari senza impedimento da parte del Tola. Finché non pagherà le 707 lire rimanenti dormirà a casa di Martino Squirro, mercante. Non dovrà fuggire e se fuggirà il presente atto sarà nullo e le 93 lire che ha dato fino a questo momento rimarranno al Tola ed egli rimarrà schiavo come lo era fino al presente atto. Ugualmente si concorda che rimarrà schiavo di Tola finché non pagherà le restanti 707 lire.
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Affrancamento di Amet di Fes in seguito ad accordo di taglia Joan Francisco Jorgi libera Amet, schiavo bianco di Fes in Marocco. Amet, secondo l’atto di taglia stipulato dal notaio Hieronimo Cerpi, doveva servire in casa e per la famiglia di Jorgi per 7 anni e poi sarebbe stato reso libero e franco. Per sei anni ha servito bene e fedelmente. Il settimo anno ha pregato di essere liberato. Quindi, ascoltando le sue preghiere e per amore del Signore Gesù Cristo, Jorgi rende libero e franco Amet e tutta la sua prole. Testimoni sono Antonio Flore di Villanova di Cagliari, Bonifacio Blantino, mercante genovese abitante a Cagliari, e Amet stesso.
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Vendita dello schiavo attallato Barca di Biserta Gavi Sasso, donzello di Cagliari, possiede uno schiavo moro bianco di nome Barca, proveniente da Biserta, di bassa statura. Afferma di aver fatto con il detto schiavo un accordo di taglia il 25 ottobre del 1600 con atto del notaio Hieronim Cerpi. Secondo l’accordo, Barca avrebbe dovuto servire per 4 anni dal giorno dell’atto e pagare 120 ducati da 12 reali castigliani al suo padrone (nei quali erano compresi 2 ducati che Gavi Sasso aveva dovuto pagare una volta che Barca era fuggito). Gavi Sasso vende Barca, che non ha rispettato interamente gli accordi della taglia, al reverendo Giovanni Meli, canonico della sede di Iglesias, assente e rappresentato da Jaume Ortola. Il caonico Meli accetta lo schiavo per il tempo rimanente della sua taglia, pagando quello che resta dei 120 ducati e acquisendo tutti i diritti sullo schiavo. Jaume Ortolà afferma che il canonico Meli sta acquistando lo schiavo per usarlo come riscatto in cambio della libertà del proprio fratello, Francesch Meli, calzolaio della città di Iglesias che si trova schiavo a Biserta nelle mani della madre dello schiavo Barca.
L’ultima parte dell’atto afferma che lo schiavo Barca, al presente, si trova detenuto nelle reali prigioni di Cagliari per aver picchiato uno schiavo del dottor Carassona e per aver pugnalato uno schiavo del giudice di corte Cristofol Grau.
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Dispaccio di Filippo III di Spagna sopra i dritti da applicarsi alla pesca del corallo in Sardegna (1600 ) Dispaccio inviato da Filippo III di Spagna al viceré di Sardegna, Antonio Coloma y Saa, con l'annuncio della decisione di imporre una tassa del 10% sul valore del corallo pescato anche ai pescatori stranieri, equiparandoli ai nativi del regno. Questa decisione è stata presa per evitare un'inequità fiscale a lungo termine sulle finanze reali. Inoltre, in riconoscimento dell'importante contributo di Pietro Porta, considerato l'ideatore di questa nuova forma di pesca, si prevede di assegnargli un premio di 300 lire per ciascuno dei prossimi tre anni, finanziato attraverso i proventi della pesca del corallo.
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Revoca dell’appalto concesso a Giacomo A. Carboni sopra i diritti della pesca del corallo in Sardegna (1716) Dispaccio reale con il quale Carlo VI d’Asburgo comanda che siano restituiti alla Procurazione reale del Regno di Sardegna i dritti sopra la pesca del corallo appaltati a Giacomo Antonio Carboni. Tale concessione infatti, operata dal Consejo de Aragón il 29 settembre 1711 e avente una durata decennale, è considerata estremamente dannosa per le finanze regie. A titolo di risarcimento viene disposto che il Carboni, console di Bonifacio, riceva una pensione annuale di 200 scudi per il resto della sua vita.
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Dispaccio di Ferdinando II d’Aragona sopra la pesca e il commercio del corallo in Sardegna (1511) Dispaccio reale con il quale Ferdinando II d’Aragona informa il maestro razionale Miquel Benet dell’imminente arrivo in Sardegna del visitatore Guillem des les Cases y Donzell. Quest’ultimo avrà il compito di vigilare affinché vengano rispettati i capitoli approvati nelle ultime Cortes generals sopra la pesca e il commercio del corallo.
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Pregone del viceré De Launay relativo ai dritti sopra la pesca del corallo (1846) Il pregone stabilisce una riduzione delle tariffe dovute dalla coralline provenienti dal Regno delle Due Sicilie che pescano nei mari di Sardegna. Tale disposizione applica quanto stabilito in un trattato di libero commercio sottoscritto nei mesi precedenti dai governi dei due regni.
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Pregone del viceré Montiglio relativo ai dritti sopra la pesca del corallo (1839) Pregone del viceré Montiglio con cui si pubblica la carta reale del 21 novembre 1839 prescrivente i nuovi diritti che le barche coralline devono corrispondere alla città di Alghero. L’aumento è deliberato per rispondere alle difficoltà finanziari in cui si ritrova il Consiglio civico della città.
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Pregone del viceré Roero relativo ai dritti sopra la pesca del corallo (1824) Pregone del conte Roero, Viceré di Sardegna, con cui si pubblica la carta reale del 15 ottobre 1824, la quale approva le diverse tariffe dei dritti da esigere per poter effettuare diverse tipologie di pesche nei mari del Regno, tra cui quella del corallo. Nulla è innovato circa i dritti civici dovuti dalle coralline alle città di Alghero e Castelsardo, alla Cattedrale di Alghero e agli ecclesiastici di Castelsardo. È abolito, invece, il Dritto Reale a altre imposte minori
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Lettera del viceré di Sardegna per i mitigare i provvedimenti presi sopra la pesca del corallo (1788) Lettera circolare del viceré di Sardegna indirizzata agli alcaidi delle torri e deputati di sanità dell’isola in cui si danno disposizioni per mitigare alcuni dei provvedimenti rivolti alle coralline presi col pregone del 14 marzo 1788, ed esplicitati nelle istruzioni trasmesse loro il 28 dello stesso mese.
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Istruzioni della Segreteria di Stato sopra la pesca del corallo in Sardegna (1788) Istruzioni pubblicate dalla Segretaria di Stato del Regno di Sardegna per ordine del viceré, dirette ai deputati di sanità ed alcaidi delle torri dell’isola sul modo di regolarsi nel caso d'approdo delle feluche coralline
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Pregone del viceré Thaon di Revel sopra la pesca del corallo (1788) Pregone del viceré di Sardegna con cui si pubblicano vari provvedimenti in materia di salute pubblica riguardanti le feluche che pescano corallo
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Lettera del viceré di Sardegna per i deputati di Sanità e alcaidi delle torri sopra la pesca del corallo (1788) Lettera circolare del viceré conte di Sant'Andrea diretta ai deputati di sanità ed alcaidi di Sardegna nella quali li si informa di diversi provvedimenti riguardanti le feluche napoletane che pescano coralli nei mari dell’isola. Queste dovranno presentarsi ogni settimana ai deputati di sanità o alcaidi delle rispettive torri più vicine a quei mari ove attenderanno alla pesca e fornire informazioni circa il nome della feluca, i componenti dell’equipaggio, le provviste effettuare e se hanno ricevuto pratica nei porti che hanno toccato.
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Editto di Carlo Emanuele III sopra i contrabbandi marittimi nel Regno di Sardegna (1767) Editto di Carlo Emanuele III contenente diverse disposizioni per impedire i contrabbandi nel commercio marittimo nei mari di Sardegna. I punti dal 25 al 37 riguardo specificatamente la pesca del corallo e le disposizioni per prevenire le frodi in tale attività.
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Pregone del viceré Tana sul dritto sopra la pesca del corallo (1761) Pregone del viceré conte Tana col quale si danno provvedimenti intorno all'esazione del dritto del 5% sopra la pesca del corallo dovuto al Regio Patrimonio.
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Pregone del viceré Tana sul dritto sopra la pesca del corallo (1760) Pregone del viceré conte Tana col quale si prescrive che non sia più dato in appalto il dritto della pesca del corallo a causa dei numerosi abusi e frodi compiute a danno del Real Patrimonio e del pubblico commercio negli anni precedenti. I patroni di coralline dovranno perciò ottenere una specifica licenza di pesca dagli ufficiali dell’Intendenza generale e denunciare quanto pescato
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Spiaggia di Santa Imbenia Spiaggia di Mugoni
"...e seguendo la detta spiaggia coperta si passa quella di Santa Imbenia bassa ed arenosa, facendo prospettiva all’entrata del porto con piccola pianura verdeggiante, ma incolta. Questo porto è capace d’una numerosa armata avendo tre miglia di quadratura con buon fondo."
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Spiaggia di Aliciacio La Ciaccia
"...passata la costa della prima guardia con una piccola rupe sassosa, ove possono sbarcare molti piccoli bastimenti, come pure nella spiaggia di Aliciacio ivi attigua con terreno piano guernito d’ameni colli lavorati serpeggiati da piccol ruscello."
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Scalo dell’Isola Rossa Isola Rossa
"...indi entrasi nello scalo dell’Isola Rossa capace di piccoli bastimenti tutt’arenoso, e seminato di piccole puntette di corallo, di che abbondano questi mari."
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Scalo del Budello Porto Budello
"...e trovasi lo scalo del Budello scarso d’acque, e questo sarà di 350 passi, in testa di cui trovasi nell’angolo la bocca del fiume del Budello, quale si allarga in forma di stagno navigabile."
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Portoscus Portoscuso
"...si entra nella cala detta Portoscus, essendovi in faccia di essa il fabbricato di una tonnara con un piccolo molo fatto per sbarcar il tonno da paliscalmi."
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Porto Vitello Poltu Ittellu
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Porto Vignola Vignola Mare
"...si scorre per spiaggia arenosa detta Porto Vignola capace di trenta piccoli bastimenti."
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Porto Tramazzo Porto Tramatzu
"...la cala volgarmente detta Porto Tramazzo con uno scalo capace per otto piccoli bastimenti coperto d’inaccessibili monti."
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Porto Tramasso Porto Tramatzu
"...indi si entra in una piccola piegatura detta Porto Tramasso di poco fondo col lido frammischiato di scogli."
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Porto Tramaril Spiaggia di Tramariglio
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Porto Torres Porto Torres
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Porto Scuro Porto Scudo
"...girando essa punta si entra nel Porto scuro scoperto con un piccolo piano capace per sei galere, ed altri piccoli bastimenti, che possono tirarsi nello scalo, che vi è in testa."
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Porto Schiffo Capo d'Orso
"...sogliono per lo più le grosse navi tragettare questi passi pella loro bontà, che in caso di burrasche sicuramente sono coperti da tutti i venti, ed è porto capace d’un’armata, avendo il comodo di sbarcare nella spiaggia di Porto Schiffo."
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Porto Sale Spiaggia la Salina
"...entrando nella cala detta Porto Sale, capace per tartane e galere, ed a lquanto al di fuori possono dar fondo le navi."
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Porto reale di Monte Ferro Marina di San Pietro
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Porto Pozzo Porto Pozzo
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Porto Pollo Porto Pollo
"...indi entrasi nel piccolo seno di Porto Pollo alquanto scarso d’acqua con uno scoglio in distanza d’un tiro di moschetto dalla sua entrata."
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Porto Pirastro Portu Pirastru
"...indi la punta e cala volgarmente detta Porto Pirastro, con un tratto di spiaggia petrosa."
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Porto Pino Porto Pino
"...indi si giunge allo scalo di Porto Pino, ch’è capace di molti piccoli bastimenti a remo."
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Porto Peloso Su Pallosu
"...si entra nel Porto Peloso con spiaggia arenosa, buono per qualunque bastimento."
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Porto Palmas Porto Palmas
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Porto negro Punta Niedda
"...si trova la cala negra detta di Porto negro con una grande e lunga lingua di rocche di 250 passi, che sporge in mare, nella quale vi possono restare molti piccoli bastimenti."
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Porto Morbone Teulada
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Porto Manago Porto Managu
"...si entra nel seno di Porto Manago con un piccolo scalo in testa capace di brigantini."
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Porto maggiore Punta Maggiore
"...si entra nella cala detta Porto maggiore capace di piccoli bastimenti, che possono approdarvi poco distante da terra con buon fondo, e tenitore, e coperti da tutti i venti."
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Porto Longone Santa Teresa di Gallura/Longonsardo
"...inoltrandosi in esso possono ancorar con buon fondo vele latine col comodo di provvedersi d’acqua da un copioso fonte, che ivi trovasi in un boschetto. Continuando il medesimo si trova in testa uno scalo capace di 30 filughe arenoso, e basso con prospetto d’un foresto vallone."
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Porto Longo Cala Lunga
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Porto Jonco Porto Giunco
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Porto Istano Porto Istana
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Porto Grande Porto Larboi
"...quivi possono ancorar tartane, e galere con buon fondo sicuro da molti venti. La sua bontà fa che sia frequentato, non tanto pel ricovero de’ bastimenti, che per imbarcar frutti."
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Porto Frisano Isola di Frigianu
"...e con gran stento si entra nella cala detta Porto Frisano per esser secca, ed ornata di scogli sott’acqua, che tiene in testa uno scalo capace per piccoli bastimenti."
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Porto Ferro Porto su Forru
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Porto di Zacuro Zacurru
"...si entra nel porto di Zacuro con una bassa, ed arenosa spiaggia in testa."
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Porto di Terranova Vittorio Angius nella voce "Gallura" del dizionario Casalis del 1840 scrive che quello che un tempo fu il porto principale della Gallura è insabbiato e appena "è permessa l’entrata a battelli". L'abate cagliaritano ritiene che la rimozione delle sabbie consentirebbe l'attracco di "molte flotte", in grado di sostare senza "attaccarsi alle ancore," tanto la rada è protetta dai venti.
Analogo il giudizio di Giuseppe Cossu che nella sua Descrizione geografica della Sardegna scrive che "...si entra nella stretta bocca del gran porto di Terranova tutto ripieno di sassi, che vi può passare una polacca traghettando per uno stretto canale."
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Porto di Siraco Cannigione
"...si entra in un gran seno detto Porto di Siraco fiancheggiato da erti colli incolti, ed in testa di esso vi è una spiaggia bassa ed arenosa con uno stagno, che vedesi dilatare in spaziosa pianura parte bassa ed arenosa, parte lavorata con vigne, spalleggiata da una continuazione di monti adornati di bellissime selve con diverse sorgenti d’acqua, che scorrono a serpeggiare un piccol ruscello, che sbocca in detta spiaggia."
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Porto di S. Paolo Porto San Paolo
"...entrati in esso porto spalleggiato da due verdeggianti rupi con un piccol scalo in testa, ove sbocca un ruscello, vi possono restar i bastimenti con qualsivoglia burrasca."
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Porto di S. Maria Navarrese Santa Maria Navarrese
"...si entra nel porto di S. Maria Navarese, in cui per ogni parte possono tirarsi a terra bastimenti piccoli, e viene frequentato da Genovesi, Napolitani, Siciliani, e da altre Italiane nazioni, che caricano formaggi, pelli, corami, lardo, e vini, di cui quest’incontrada ne abbonda, e resistono a lunga navigazione anzi si perfezionano nella chiarezza, e sapore."
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Porto di S. Giovanni Santa Maria Navarrese
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Porto di Poligna (Poglina) Poglina
"...in un seno detto Porto di Poligna con spiaggia piccola arenosa che serve di scalo coperto da una piccola rupe."
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Porto di Mezzogiorno Cala Reale
"...si trova il porto di Mezzogiorno, scalo sufficiente per molti piccoli, ed anche grandi bastimenti al tiro del moschetto."
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Porto di Mezz’arancio Golfo Aranci
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Porto di Maestrale Cala di Ponente
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Porto di Levante Cala Is Cascias
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Porto di Frumentorgiu Porto Palma
"...si arriva alla foce del fiume del medesimo nome, che forma un piccolo scalo, ch’è capace di piccoli bastimenti, e vedonsi diverse fabbriche sopra un piccolo piano adornato di colli, ed una tonnara. Questa cala, e scalo volgarmente dicesi Porto di Frumentorgiu, ed in faccia al ponente tiene nell’imboccatura uno scoglio sott’acqua, ed è di poco fondo."
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Porto di Cotolo Spiaggia di sassi "di Robinson"
"...trovasi la cala, e porto di Cotolo coperto da un monticello, che dà fine ad un vallone formando diversi scogli, con uno scalo in testa."
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Porto di Campo Lungo Campulongu
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Porto di Cacciarella Isola Asinara
"...si entra nel porto di Cacciarella capace di piccoli bastimenti con una spiaggiuola in testa coperta dal continuo giogo di colli."
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Porto delle Vacche Spiaggia Porto Liscia
"...si entra nel porto delle Vacche con scalo sufficiente per tartane e galere, che vi possono restare."
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Porto delle Noci bianche Li Mucchj Bianchi
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Porto delle Femmine Porto Corallino
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Porto delle Canelle Sa punta de s'Aliga
"...si entra nel seno detto Porto delle Canelle capace di ricevere grossi vascelli al tiro del cannone, e li altri più piccoli a proporzione. Questo porto vien frequentato non tanto per la provvisione delle acque, che scaturiscono da un abbondante fonte, ma anche per caricare i formaggi ed altre derrate d’Iglesias, sbarcandovi in contracambio anche delle merci. Possonvi restare in quelle spiaggie coi venti tramontana, greco, ed altri."
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Porto della Tonnara Santa Caterina di Pittinuri
"...si rivolge piccol seno detto Porto della Tonnara, tiene in capo una spiaggia coperta d’aliga, e non viene dominata da altro vento che dal ponente."
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Porto del Bollo Cala del Bol
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Porto d’Alegusta Cala d'Aligusta
"...indi il capo di Teulada, e rivoltate quelle balze precipitose, si entra nella cala detta Porto d’Alegusta capace di ricoverare alcuni pinchi, il quale resta piegato in guisa che qualsivoglia mal tempo può molestarli, ed è ben sovente frequentato da diversi legni per la comodità di provvedersi d’acqua che trovasi in un boschetto distante un quarto di miglio, e scaturisce da una rocca in quantità di cinque braccia, e dopo un piccolo spazio di tempo di nuovo riempiesi."
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Porto Curlo Cala Liberotto
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Porto Covato Porto Quadro
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Porto Corallo Porto Corallo
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Porto Conte Porto Conte
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Porto Cervo Porto Cervo
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Porto Canella Cala Caneddi
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Porto Botte Porto Botte
"...trovasi la punta, o cala di Porto Botte con un’altra calanca denominata Porto Botte arenosa, e scoperta, in cui possono restar venti brigantini."
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Plaia di Moncione Rena di Ponente
"...plaia di Moncione tutt’arenosa con buon fondo per ricoverare i bastimenti dalla tramontana."
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Piccinì Pixinnì
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Mezzo Schiffo Rada della Sciumara
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Malfatano Capo Malfatano
"...passata indi la punta di Malfatan, nella quale si possono introdurre molte tartane e galere, che vi restano in qualsivoglia mal tempo, a riserva de’ venti mezzigiorni, levante, e sirocco, che traversano, per qui si entra nel porto di Malfatan."
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Isola Piana Villamarina
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Isola di Salsai Molara
"...quest’ancora si può veleggiare all’intorno pel suo buon fondo, e tiene verso levante una sorgente di buonissima acqua."
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Coda di Volpe Punta Volpe
"...si entra nel gran porto detto di Coda di Volpe coperto da tutti i venti, e di buon fondo capace d’un’armata d’ogni genere."
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Coda di Cavallo Cada Cavallo
"...è scalo capace per molti bastimenti."
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Castelsardo Castelsardo
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Carloforte Carloforte
"...sogliono le navi ancorare in dett’isola sopra la costa di sirocco verso terra, e si può liberamente veleggiare all’intorno, osservando varie rupi scoscese, ed alpestri, che formano diverse punte guernite di rocche, e scogli con spiaggie arenose, e diverse calanche, che servivano d’albergo comodo a’ Turchi per depredare il nemico."
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Capo Comino Capo Comino
"...in questa spiaggia il mare manca di fondo capace di solamente ricevere piccoli bastimenti."
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Calone di Monterosso Monti Russu
"...si entra nel calone di Monterosso con uno scalo in testa, ricetto per qualunque nave."
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Calaseta Calasetta
"---siegue la spiaggia di detto nome, che pare lastricata, ed in parte arenosa, coperta da piccole rupi montuose, capace di ricevere qualunque bastimento alla custodia di tutt’i venti alla riserva della tramontana e maestrale."
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Cala Sapone Cala Sapone
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Cala Piombo Cala Piombo
"...si passa la cala di Piombo tutt’attorniata di rocche e sassi, capace di poche grosse polacche."
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Cala Moresca Cala Moresca
"...che trovasi ivi in testa con uno scalo ornato da uno spazioso vallonetto, entro del quale in mezzo d’una selva vedesi scaturire una sorgente di buon’acqua, e vien coperto dalla parte di fuori dall’isola di Figarola."
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Cala Marinena Marinella
"...si entra nella cala Marinena con spiaggia bassa capace di tartane, e d’altri piccoli navigli."
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Spiaggia di Ginepro Spiaggia di Pistis
"...attigua alla punta, che piega fra terra, capace per tartane, e brigantini, e si può veleggiare in queste parti con buon fondo."
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Cala Galeotta Cala Galera
"...si passa la cala Galeotta così detta per essere nascondiglio de’ Turchi, che ivi trattenevansi per depredare i passeggieri."
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Cala di Spalmator di terra Spalmatore di terra
"...vi si può comodamente veleggiare all’intorno, e restarvi in qualsivoglia mal tempo, ricoverandosi ove farà bisogno con ancorare a ridosso de’ venti, e particolarmente nella cala verso terra, che vien detta Spalmator di terra, ove non possono esser molestati se non dal mezzogiorno, che gli dà a fianco, ed ivi trovasi una sorgente d’acqua, che scaturisce da quelle rocche."
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Cala di Santa Reparata Santa Reparata
"...ritrovasi la cala di Santa Reparata con un buon fondo."
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Cala di Santa Caterina di Pittinuri Santa Caterina di Pittinuri
"...si entra nella cala detta di Santa Caterina di Pittinuri con buon fondo, e tiene in capo una spiaggiuola sassosa con una sorgente d’acqua."
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Cala di Murtas Cale di Punta Marras
"...si passa la punta di Murtas sottile, e s’entra nella cala dello stesso nome: posto frequentato da Barbareschi."
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Cala di Liscia Porto Liscia
"...in questo gran seno di Liscia può ancorar ogni sorta di nave, od altro bastimento, ed anche un’armata, restandovi con qualsivoglia mal tempo fuor del maestrale, che traversa in questo porto."
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Cala Ginepro Cala Ginepro
"...cala Ginepro attigua alla punta, che piega fra terra, capace per tartane, e brigantini, e si può veleggiare in queste parti con buon fondo."
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Cala di Ghisera Punta di Ghiscera
"...la cala secca guernita di scogli con riva scoscesa, indi si entra in un porticciuolo con un piccolo scalo in testa mescolato di puntette di corallo rigettate da quei mari."
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Cala di Fraclisi Porto Frailis
"...si entra nella cala di Fraclisi con buon fondo cinta d’una spiaggia sassosa coperta da un’alta rupe, in testa di cui vedesi una piccola cappella dedicata alli SS. Giovanni, ed Emilio."
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Cala di Cortiresi Porto Zafferano
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Cala di Bernardo Cala Bernardu
"...in testa tiene uno scalo capace per le medesime [galeotte Turche]."
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Cala di Bari Bari Sardo
"...un piccol scalo in testa detto la Cala di Bari con spiaggia arenosa capace di piccoli bastimenti, che possono restare con sicurezza da venti di terra per il riparo."
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Cala dell’Ambisaglia o Marinella La Marinedda
"...si passa la cala dell’Ambisaglia, o Marinella di rocche piena e scogli, ch’entra 300 passi fra terra con uno scalo capace di piccoli bastimenti."
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Cala del Bergantino Cala delle Barche napoletane
"...entrasi nel porto di levante con uno scalo in testa di buon fondo, e spiaggia d’arena coperta da piccole rupi."
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Cala d’Arena bianca Spiaggia di Tanca Manna
"...si lascia la cala d’Arena bianca tutt’arenosa con buon fondo capace di tartane e galere, che vi possono restar con tutt’i venti alla riserva della tramontana, che pur con questa non saranno tanto danneggiati a fianco."
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Cala Agostino Cala Ostina
"...la cala della Tonnara detta Cala Agostino con uno scalo coperto da un’erta rupe scoscesa, sopra di cui vedonsi le rovine d’una tonnara."
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Derrotero del Mar Mediterráneo, de autor anónimo
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Derrotero del mar Mediterráneo, de autor anónimo
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Nicolao Justiniano Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Juan Veloto Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Paulo Mijavila Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Miquel Matos Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Anthoni Servera Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Miquel Melos Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Miguel Sberto Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Joan Baptista Grima
Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Llorens Carta
Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Joseph Galicia Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Benedetto Natter Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Joseph Martin Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Pere Roca Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Juan Farseo Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Juan Bautista Maurisio
Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Pedro Visiano Valencia Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Constantino Aroño Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Rafael Pou Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Machin Campomar Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Francisco Infante Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Froido Pesario Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Stefano Zanpello Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Felipe Banella Corsario al servicio del reino de Cerdeña
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Agosti Villa Corsario al servicio del reino de Cerdeña