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Villa Vittoria (Genoves-Rombi)
Il 30 marzo 1738 si firmano gli accordi per l’infeudazione dell’Asinara e dell’adiacente Isola Piana a favore di Domenico Brunengo di Roccamartì, conte di Monteleone, cittadino di Sassari.
Si tratta di quarantacinque capitoli che consentono al conte di sub-infeudare le due isole, di formarvi tonnare, peschiere, di attivare la pesca del corallo nello spazio di trenta miglia marittime dalla costa.
In cambio, Brunengo si impegna a stabilire sull’isola “una colonia di forestieri” e a introdurvi il commercio. Per sostenerla, il conte potrà farvi trasportare vettovaglie e bestiame, senza impedimenti da parte dei ministri patrimoniali dei porti di Teulada, Pula e Sarrabus o Cagliari.
Il conte deve inoltre provvedere all’assistenza spirituale dei suoi vassalli, facendo erigere una cappella e stipendiandovi un
cappellano di sua scelta, fino a quando le decime prodotte dall’insediamento non consentiranno di mantenere uno o più
parroci.
Alla cittadina deve essere dato il nome Villa Vittoria “dal glorioso nome di Sua Altezza Reale il duca di Savoia figlio primogenito del felicissimo regnante Carlo Emanuele [...] alla di cui protezione sarà commendata l’impresa di questa nuova popolazione”.
Il progetto non avrà mai attuazione
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Villa Vittoria (Brunengo)
Il 30 marzo 1738 si firmano gli accordi per l’infeudazione dell’Asinara e dell’adiacente Isola Piana a favore di Domenico Brunengo di Roccamartì, conte di Monteleone, cittadino di Sassari.
Si tratta di quarantacinque capitoli che consentono al conte di sub-infeudare le due isole, di formarvi tonnare, peschiere, di attivare la pesca del corallo nello spazio di trenta miglia marittime dalla costa.
In cambio, Brunengo si impegna a stabilire sull’isola “una colonia di forestieri” e a introdurvi il commercio. Per sostenerla, il conte potrà farvi trasportare vettovaglie e bestiame, senza impedimenti da parte dei ministri patrimoniali dei porti di Teulada, Pula e Sarrabus o Cagliari.
Il conte deve inoltre provvedere all’assistenza spirituale dei suoi vassalli, facendo erigere una cappella e stipendiandovi un
cappellano di sua scelta, fino a quando le decime prodotte dall’insediamento non consentiranno di mantenere uno o più
parroci.
Alla cittadina deve essere dato il nome Villa Vittoria “dal glorioso nome di Sua Altezza Reale il duca di Savoia figlio primogenito del felicissimo regnante Carlo Emanuele [...] alla di cui protezione sarà commendata l’impresa di questa nuova popolazione”.
Il progetto non avrà mai attuazione
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Colonia di Gonnesa
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Colonia di Fluminimaggiore
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Colonia San Giovanni Nepomuceno
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Colonia Sant’Antioco
Fino al XVII secolo, l'isola di Sant'Antioco è spopolata. Viene frequentata sporadicamente da pastori – iglesienti, in particolare - e dai numerosissimi fedeli del santo, che giungono da ogni parte della Sardegna nelle tre processioni annuali.
Fin dalla prima età moderna, l'isola è al centro di contrasti tra le autorità civiche e quelle ecclesiastiche di Iglesias. A partire dal 1615, anno di ritrovamento dei sacri resti del santo, la contesa trova una sua prima composizione: da quel momento l'isola del santo viene amministrata dall'autorità ecclesiastica che concede quote di territorio a pastori e contadini che vogliano sfruttarle e al contempo garantire la difesa del santuario, intorno al quale vengono edificate delle abitazioni la cui principale destinazione è ospitare coloro che si recano in pellegrinaggio sull'isola del santo.
Nel 1720 il Regno di Sardegna passa sotto il dominio di Casa Savoia e anche l'isola di Sant'Antioco viene inserita nel programma di ripopolamento della Sardegna promosso da Carlo Emanuele III a partire dagli anni Trenta: il governo decide di assegnare l'isola a una colonia di greci provenienti dalla Corsica. I relativi capitoli di popolamento vengono sottoscritti nell'aprile del 1754.
La città regia di Iglesias oppone una tenace resistenza a difesa delle sue prerogative economiche e spirituali, riuscendo ad impedire l'attuazione del programma governativo di colonizzazione. Inoltre, la città promuove lo stanziamento permanente di coloni iglesienti e la formazione di una colonia di popolamento intorno al santuario di Sant'Antioco. Si tratta del nucleo fondativo dell'attuale cittadina di Sant'Antioco.
Disponiamo del dettagliato elenco di nomi e possedimenti, verosimilmente redatto dall'intendente generale del Regno di Sardegna, sulla base di una ispezione condotta direttamente sull'isola.
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Popolamenti del re
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Colonia "veneziana"
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Sant'Antonio (Senis Mannu)
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Colonia corsa
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Colonia Maniotta
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Sarroch
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Santa Teresa
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Longone
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Colonia Maniotta
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Colonia Valle del Coghinas
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Pula
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Portoscuso
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Colonia “francese”
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Colonia Maniotta
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Colonia maniotta
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Palau
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Nuracabra
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Fenugheda
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Colonia barone di Sorso
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San Cristoforo di Montresta
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Santa Sofia
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Colonia corsa
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Colonia maltese
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La Maddalena
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Colonia corsa
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Serzela
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Colonia maltese (Oridda)
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Domus de Maria
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Villa Vittoria di San Pietro
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Villa Vittoria (Asinara-Tabarchini)
Mentre è ancora impegnato a consolidare la colonia tabarchina di Carloforte, il duca di San Pietro, don Bernardino Genoves, viene a sapere del progetto di Domenico Brunengo per l’Asinara e, il 28 maggio 1738 scrive personalmente al viceré per impedirne l’attuazione.
L’Asinara, avverte don Bernardino, è necessaria alla sopravvivenza di Carloforte. San Pietro è un’isola “intrattabile” e
“intieramente inutile”, perché non ha terre da semina. I coloni saranno presto costretti a lasciarla per recarsi a lavorare nei “terreni d'altri baroni”.
La cessione dell’Asinara sarebbe un errore fatale. L’arrivo di altri corallatori forestieri provocherebbe “la dissonanza [...] nella pesca de coralli” e la disponibilità di ampie terre fertili e di vasti banchi corallini spingeranno i tabarchini a lasciare Carloforte per trasferirsi nella nuova colonia dell’Asinara.
Genoves si offre di popolare lui l’Asinara con cinquecento forestieri. I coloni non saranno né corsi, né greci, ma solo genovesi e tabarchini.
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Colonia di Carloforte
Con l'avvento al trono di Carlo Emanuele III i progetti sabaudi di ripopolamento e rilancio produttivo del Regno di Sardegna conoscono un significativo avanzamento.
Il primo risultato tangibile di questa rinnovata propensione è la fondazione della colonia di tabarchini di Carloforte.
Il 2 agosto 1737 il console francese a Cagliari Paget informa Parigi che una rappresentanza della comunità ligure stanziata nell'isola di Tabarca ha chiesto «alla corte di Torino, di accordargli qualche terreno in Sardegna per stabilirvisi, tra le duecento e le trecento famiglie, che vogliono lasciare Tabarca». Il viceré sardo Rivarolo accoglie con favore la proposta e scrive al sovrano Carlo Emanuele III, invitandolo a considerare la possibilità di stanziare i tabarchini nell'isola sulcitana di San Pietro.
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Colonia di Calasetta
Temendo la conquista francese di Tabarca, il bey di Tunisi la fa occupare nel 1741.
I tabarchini vengono fatti schiavi e deportati in terraferma. Nel 1756, in conseguenza del conflitto tra le reggenze tunisina e algerina, la gran parte viene deportata in Algeri, per essere poi riscattata da Carlo III re di Spagna nel 1768 e utilizzata per la fondazione di una Nueva Tabarca spagnola.
Le negoziazioni, che seguono la presa tunisina di Tabarca, vedono i tabarchini ancora protagonisti. Giovanni Porcile, genero del fondatore di Carloforte Agostino Tagliafico, eredita da questi la guida della colonia di Carloforte, insieme ai canali che gli consentono di dialogare direttamente con le autorità sarde e tunisine.
Su incarico di una quarantina di capofamiglia tabarchini, Procile tratta col governo sardo e con l’Ordine mauriziano con l’obiettivo di rafforzare ed espandere lo spazio d’azione del popolo tabarchino e della stretta élite che lo guida.
I ventisette capitoli per il popolamento di Calasetta vengono sottoscritti il 20 novembre 1769. L’ordine mauriziano sostiene i costi del trasporto di trentotto famiglie da Tunisi all’isola di Sant’Antioco e fornisce il vitto per il periodo di quarantena che si farà nei pressi della torre di Calasetta, già utilizzata per i tabarchini di Carloforte. L’Ordine provvederà inoltre alla fabbrica di una chiesa, a stipendiare un parroco di lingua ligure, a sostenere i costi di costruzione delle abitazioni private, a prestare sementi e attrezzi da lavoro per l’avvio delle produzioni agricole
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Arzachena
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Pompongias
Nel 1745 l'area del villaggio abbandonato venne concesso col titolo di marchese di Villa Hermosa a don Bernardino Genovés che si era impegnato a ripopolarlo
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Colonia di corallatori
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Vesos di Valverde