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Statua di San Costantino
Statua "a cannuga"
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Croce nella piazza della chiesa Monumento religioso situato davanti alla chiesa
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Chiesa e villaggio di Santa Maria di Pramonti Il territorio del villaggio, situato a 4 km a nord di Nuraminis e a nord est di Villagreca, si presenta come un'area territoriale pluristratificata con diverse prove d'insediamento e riconducibili a epoche diverse. Con i dati a disposizione, principalmente una forte concentrazione di ceramiche relative alla cultura di Monte Claro, è possibile datare il primo insediamento umano all'interno del territorio tra il III e il II millennio a.C. e per tale motivo l'area si presenta come una memoria vivente del passato.
L'archeologia si rivela così di grande importanza per lo studio delle tracce delle civiltà del passato presenti nel territorio e le maggiori conferme materiali si hanno per il percorso che dall'età romana giunge al medioevo, in particolare frammenti ceramici da mensa, da cucina, ceramiche d'uso comune e da fuoco. Risulta opportuno sottolineare il ruolo determinante dell'esercito bizantino impegnato in Sardegna per porre fine alla dominazione dei vandali poichè insieme alle milizie bizantine arrivarono anche i monaci e a loro si deve, nell'agiografia sarda, l'introduzione dei santi orientali così come il culto a Maria madre di Dio, venerata con il titolo di Santa Maria Assunta.
Nell'area sono stati rinvenuti frammenti di manufatti ceramici riconducibili a produzioni di età bizantina, in particolare ceramica sovradipinta la cui attribuzione non è certa a causa dell'estrema frammentarietà. A tal proposito, risulta interessante uno studio di confronto con l'Italia centrale in quanto sono stati rinvenuti manufatti datati VI - VII secolo, precisamente imitazioni locali di ceramiche egiziane sovradipinte presenti sopratutto in Abruzzo nell'area di Crecchio (ceramica di tipo Crecchio). Questa tipologia decorativa elaborata a più colori è stata messa in relazione con la presenza nell'area abruzzese di un reggimento bizantino di origine egiziana, ma come sono arrivati i frammenti di questa classe ceramica nel contesto di S.Maria di Prumontis? Gli studiosi, dopo aver escluso l'importazione diretta dall'egitto, hanno ipotizzato la provvenienza dall'Italia centrale con parte dell'esercito di stanza nella penisola destinato a rafforzare il territorio sardo, in quanto parte dell'impero bizantino.
A un periodo successivo appartengono i frammenti di ceramiche giudicali, cioè manufatti di produzione locale circolanti in età giudicale. Alla presenza pisana si devono il frammento di bacino in maiolica arcaica rinvenuto nei pressi della fontana di Santa Maria.
Se il villaggio di Pramonti è attestato per la prima volta nelle fonti medievali del XIII secolo, e di conseguenza non risulta in relazione con gli insediamenti precedenti, è nei documenti della prima metà del XIV secolo che il nome del villaggio viene indicato nella forma Postmonti, Pramonti, Prumonti e versioni affini. A partire dalla seconda metà del secolo compaiono le forme Postmontis, Postmont, Postmunt, Pramontis e altre varianti. Questa località è interessata dalla presenza di tre agglomerati insediativi, un abitato, un'area funeraria e un luogo di culto utilizzati dall'uomo almeno fino a età medievale. La zona funeraria è indicata dalla presenza di sepolture alla cappuccina (tegole rettangolari disposte a spiovente sull'inumato), mentre nella parte più elevata dell'area, presso una collina, segnaliamo dei tratti murari costruiti con pietre legate con malta di fango. Questi elementi suggeriscono l'esistenza di una costruzione riconducibile probabilmente a un edificio di culto cristiano, la chiesa di Santa Maria. In mancanza di dati di scavo non è stato possibile chiarire la destinazione d'uso, eppure anche il dizionario geografico storico curato da Goffredo Casalis evidenzia l'esistenza di antiche costruzioni entro il territorio di Nuraminis, tra cui a Prumontis un pezzo di muro della chiesa dedicata proprio a Santa Maria.
L'insediamento si è estinto nella seconda metà del XV secolo, secondo John Day già nel 1476 risulta disabitato. Tuttavia, è interessante notare come un inventario inerente alla baronia di Monastir datato 1455 descriva Promont come Villa già spopolata, indicando perciò uno spopolamento antecedente alla data indicata dallo storico statunitense. Nell'inventario, inoltre, emergono una serie di informazioni di nostro interesse. In riferimento al 1421 risulta la concessione in feudo di alcune Ville, tra cui Promont, fatta dal re Alfonso V d'Aragona presumibilmente in favore di Nicolò Caciano (o Cassiano). Di circa dieci anni successiva risulta la vendita della Villa di Promont con il consenso regio in favore di Giovanni Dedoni, che avrebbe acquistato la villa mediante gli alfonsini. Datata 1454 risulta invece la vendita eseguita dalla famiglia Dedoni in favore di Pietro Bellit, con successiva conferma di vendita. Dall'inventario in questione, risulta che tale villa durante il periodo aragonese fosse prima in mano alla famiglia Caciano, successivamente alla famiglia Dedoni e infine al mercante di Cagliari Pietro Bellit. Tutto ciò è riconducibile anche a dinamiche di storia dell'èlite, considerando che i Dedoni ottennero diplomi di ampliamento delle concessioni in feudo in remunerazione dei servizi resi alla corona. In aggiunta a questo, pare che i Dedoni riuscirono ad ottenere l'abilitazione per una possibile eredità delle figlie femmine anche sulla villa di Promont , contrariamente agli aspetti del mos Italiae. Nel 1518, fu il nipote dei re cattolici Carlo V unitamente alla madre Giovanna a concedere l'investitura in feudo della villa di Promont a Ludovico Bellit d'Aragall, in quanto erede feudale del padre Salvatore Bellit.
Nell'area è stato rinvenuto anche un frammento di piatto del XVI secolo in ceramica toscana e questo testimonia la frequentazione sporadica del sito dovuta alla presenza della fonte o alla chiesa stessa. Le fonti materiali indicano inoltre come i processi di abbandono possano essere contraddistinti da fasi di ripresa e allentamento, una coesistenza tra abbandono e continuità.
Nel corso del XVI secolo l'area del villaggio è stata assorbita dalla giurisdizione di Nuraminis e la parrocchiale dedicata a Santa Maria viene declassata al rango di chiesa rurale. Quest'ultima sopravvisse sino al XVIII secolo, nel secondo 700 si presenta in stato di abbandono.
Fra gli eventi determinanti nello scatenare la crisi dei villaggi è stata individuata proprio la conquista aragonese con tutte le conseguenze belliche, economiche, sociali e territoriali che comportò. L'introduzione stessa del sistema feudale creò un enorme disequilibrio per la scomparsa di tantissimi abitati tra XIV e XV secolo. Il fenomeno in questione, sopratutto tra il medioevo e l'età moderna, è tuttavia dovuto a una combinazione di fattori quali guerre, epidemie, carestie e dinamiche sociali di spopolamento riconducibili anche a fenomeni di microstoria come il banditismo. Si evidenzia, pur tenendo conto della peste, l'improbabilità che quest'ultima abbia inciso in maniera consistente nelle zone rurali, provocando un maggior numero di vittime nei centri più densamente popolati. A tal proposito, per lo studio del fenomeno, non va trascurata la capacità di attrazione delle nuove città.
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La Confraternita del Rosario. Intervista a Luigi Congiu Intervista a Luigi Congiu, ex priore della Confraternita della Madonna del Rosario, riguardo la storia e l'oratorio della Confraternita
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Statua di Santa Barbara La statua di Santa Barbara si trova all'interno della Cappella della Madonna di Bonaria.
Raffigurata stante mentre tiene un libro dorato con la mano sinistra, la Santa porta una veste azzurra coperta da un manto rosso. Alla sua destra si trova la torre, simbolo del martirio e propria della tradizione iconografica.
Secondo Francesco Virdis l'autore della statua è Giuseppe Antonio Lonis, celebre scultore attivo in Sardegna nella Seconda metà del Settecento. La testa della martire non è l'originale prodotta dal Lonis, ma è frutto degli interventi di restauro effettuati verosimilmente nel corso del XX secolo.
La presenza della statua è segnalata sotto la voce "Simulacri" nell' "Inventario della parrocchia di San Pietro apostolo del comune di Nuraminis", compilato dal parroco Attilio Spiga nel 1925. Alla statua vengono attribuite le caratteristiche: «legno, venerata».
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Località is Cresieddas La ricognizione di superficie effettuata nella località nota come «is Cresieddas» ha permesso di osservare la presenza di alcuni grandi massi nei pressi dei quali, in mezzo all'erba, è possibile individuare materiale da costruzione e alcuni frammenti di ceramica, tra questi anche alcuni post medievali. Le testimonianze orali raccolte parlano della presenza di un nuraghe: «Nuraghe Cresieddas», distrutto da alcuni lavori di manutenzione. Si potrebbe ipotizzare che il sito sia stato abitato (forse in maniera continua) dalla protostoria sino almeno al XV-XVI secolo. Però, per poter avvalorare la tesi è necessario uno studio documentario, che possa confermare quanto ipotizzato o che comunque possa fornire informazioni più certe.
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Chiesa di santu Sadurru Dopo aver visitato il sito, la ricognizione ha restituito poche tracce materiali, troppo poche per poter avanzare ipotesi sul sito. Dalle testimonianze orali raccolte è emerso che nella località visitata la memoria dei nuraminesi ricorda la presenza di una chiesa nota come «santu Sadurru». Considerando la ricognizione di superficie e le testimonianze orali, ci sono gli estremi per iniziare una ricerca bibliografia e documentaria, per comprendere meglio la storia del sito.
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Statua di Sant'Agnese Nella parete destra della Cappella della Madonna di Bonaria, troviamo il simulacro di Sant’Agnese, la santa è raffigurata con una veste bianca e un manto rosso. Lo sguardo della santa è rivolto verso l'alto e nella mano destra tiene la palma del martirio, mentre con la sinistra stringe un agnello al petto.
La statua è collocata all'interno di una teca di vetro.
Nella sommità della decorazione marmorea entro cui è collocata, è presente una decorazione di motivi fogliformi con un medaglione nero al centro che raffigura al suo interno la croce e due gigli, anche se questi oggetti non fanno parte della simbologia della Santa.
Nell'estremità inferiore della decorazione marmorea, invece, è incisa la scritta "INTILLA LUIGI- FECE L'ANNO 1914", a ricordo della data di realizzazione dell'opera e di chi l'ha finanziata.
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Madonna della Guardia Nella nicchia al lato sinistro della Cappella della Madonna di Bonaria, si trova il gruppo scultoreo della Madonna della Guardia.
Il simulacro presenta sul lato sinistro la statua della Vergine, mentre tiene in braccio il Bambin Gesù. Al suo cospetto, è inginocchiato un pastore con le sue pecore. L'identità del pastore resta ignota, non è dato sapere se si tratti di un santo o di un personaggio a cui la Madonna è apparsa.
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Statua di San Luigi Gonzaga Sul lato destro della Cappella della Madonna di Bonaria è situato il simulacro ligneo di San Luigi Gonzaga, in talare e cotta e con il crocifisso rivolto verso sé nella mano destra.
È possibile che la statua sia stata realizzata da una bottega sarda considerando la tradizione locale di scultura religiosa. Infatti, una statua simile, datata tra il 1690 e il 1710, attribuita a una bottega sarda e conservata a Sadali.
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Statua di Sant'Efisio Sant'Efisio è uno dei martiri sardi più illustri e ancora oggi venerati. Quest'anno, infatti, si è tenuta la 369° festa in suo onore.
Nella Cappella della Madonna di Bonaria, a sinistra della statua centrale è collocata la statua lignea di Sant'Efisio. Datata al Settecento, è in legno intagliato e policromato. Il santo segue l'iconografia tradizionale, è raffigurato con delle vesti da guerriero romano con elmo, stivali e spada dorati; il mantello, invece, è rosso con dettagli più chiari.
Il Santo è rappresentato in piedi su una base marmorea sui toni del grigio.
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Statua di Santa Teresina del Bambin Gesù Alla sinistra della Madonna di Bonaria troviamo la piccola e più recente statua di santa Teresina del Bambin Gesù, raffigurata nel suo abito carmelitano, con la veste marrone e il manto bianco, e con il Crocifisso e le rose stretti al petto.
La statua è in piedi sopra una base marmorea bianca e nera. Lo sfondo nero, con motivi dorati, risalta il colore chiaro del manto della Santa.
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Statua della Madonna di Bonaria La statua della Madonna di Bonaria è collocata nella nicchia centrale sopra l’altare della cappella a lei intitolata (Capella della Madonna di Bonaria).
Protetta da un vetro dotato di una cornice dorata di forma arcuata, la statua riproduce il simulacro conservato nel santuario di Bonaria a Cagliari.
La Vergine indossa una veste rossa coperta da un manto celeste e tiene in braccio sul lato sinistro il bambin Gesù, mentre con la mano destra porta una navicella e una candela. Sono evidenti i rimandi simbolici legati ai due oggetti. La candela rimanda al momento in cui, il 24 aprile 1370, il simulacro della Vergine approdò dal mare alle pendici del colle di Bonaria, tenendo in mano una candela accesa. La navicella, invece, è legata al ruolo di protettrice dei naviganti assunto dalla Madonna di Bonaria.
Dalla seconda metà del Novecento, ogni 24 aprile a Nuraminis si festeggia la Madonna di Bonaria. Il giorno della festa, la sera, la statua viene portata in processione lungo le vie del paese. Al termine della processione, viene celebrata la messa con omelia.
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Retablo della Madonna del Rosario Il Retablo del Rosario è collocato sopra un altare in marmo bianco con intarsi policromi datato al 1848.
Dell’opera a primo impatto colpiscono i medaglioni a bassorilievo con i Misteri disposti a semicerchio a incorniciare la nicchia che ospita la Vergine con il Bambino. Sotto la nicchia, si osserva una pittura in cui si osservano due gruppi di fedeli composti da cinque persone che inginocchiati pregano ai lati di un albero simbolico.
Tutta la composizione risulta coerente nella sua realizzazione e fa supporre che sia frutto della mano di un unico autore. Se dovessimo confrontare il retablo con altre opere lignee, quali ad esempio la rappresentazione dell’Ultima cena del tabernacolo di Monserrato, composta dal Puxeddu, parrebbe che anche l’Ancona del Rosario di Nuraminis sia opera del medesimo autore. In base a questa comparazione si può asserire che il Puxeddu nel Retablo del Rosario è autore sia delle parti scolpite sia di quelle dipinte.
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Pulpito Il pulpito è collocato sul lato sinistro della navata, tra la terza e la quarta cappella dall'ingresso principale. Ad esso si accede attraverso delle scalette che partono dalla cappella della Croce.
Costruito in marmo intarsiato policromo, è sormontato da un baldacchino ligneo finemente decorato.
Sulla parte frontale vi è l'iscrizione in latino: "PRINCIPI APOSTOLORUM / EMANUEL ARCHIEP. KARAL / ANNO MDCCCXLVIII", che data la posa al 1848, durante l'episcopato del vescovo Giovanni Emanuele Marongiu Nurra, originario di Borutta.
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Navata centrale La navata della chiesa parrocchiale di San Pietro ha pianta rettangolare ed è coperta da una volta a botte, frutto di un rifacimento del XVII secolo. Precedentemente il tetto doveva essere ligneo.
La volta è divisa in quattro settori da diaframmi, che poggiano su delle semicolonne laterali con capitello decorato. Tra le semicolonne delle pareti laterali si aprono le otto cappelle con archi a tutto sesto.
Gli affreschi della volta furono realizzati tra il 1922 e il 1924 dalla bottega dell’artista cagliaritano Battista Scanu e presentano per ciascun settore un grande medaglione centrale polilobato su un fondo di motivi geometrici e vegetali.
Partendo dal primo settore dall’entrata, i medaglioni raffigurano: una croce greca dorata su fondo azzurro; la scena evangelica di Gesù che parla con i bambini; la liberazione di San Pietro dal carcere ad opera di un angelo; una colomba dorata su fondo azzurro.
Le fasce laterali alla base della volta, al di sopra del cornicione, recano al di sopra della seconda e terza cappella di entrambi i lati quattro medaglioni che ritraggono gli evangelisti: San Marco e San Giovanni a sinistra; San Matteo e San Luca a destra.
All’altezza dei capitelli delle semicolonne, a entrambi i lati della navata, sono disposte quattordici formelle della "Via Crucis", realizzate in bronzo nel 1997 dall’artista monserratino Gianni Argiolas, le quali andarono a sostituire le precedenti in gesso dipinto.
Nelle parete sinistra, tra prima e seconda cappella, è presente una lastra marmorea funeraria di Mons. Paolo Maria Serci-Serra, vescovo della diocesi di Cagliari dal 1893 al 1900 e originario di Nuraminis; tra la terza e la quarta cappella si erge il ricco pulpito marmoreo.
Nella parete destra, tra terza e quarta cappella, è fissata una lastra di marmo con l’ultima consacrazione della chiesa, avvenuta il 24 aprile 1894 ad opera del vescovo Paolo Maria Serci-Serra.
Nella parete di fondo si apre l’arco a sesto acuto che introduce al presbiterio. Ai lati di questo si aprono due nicchie in marmo intarsiato in stile classicheggiante, che recano iscritta la committenza e la data: “DONO DI CARLO E MARIA CASU - 1956”.
La nicchia sinistra ospita la statua ottocentesca di San Pietro, quella destra il complesso scultoreo della Madonna del Rosario di Pompei col bambinello, San Domenico di Guzman e un cagnolino.
Al di sopra delle nicchie corre una fascia affrescata che reca a sinistra un medaglione con il Sacro Cuore di Gesù e a destra un uguale medaglione con il Cuore Immacolato di Maria. Lo spicchio superiore della volta è decorato invece da motivi geometrici.
Nella parete d’ingresso, in corrispondenza del portale, è collocata una preziosa struttura lignea settecentesca, dipinta di verde e impreziosita da decorazioni vegetali dorate. Questa consiste della bussola, che presenta due porte laterali e il grande portone frontale, con una fascia superiore traforata di finestrelle quadrate; di una grande tribuna con balaustra e stemma centrale, che si estende fino alle pareti laterali, adibita fino al secolo scorso ad ospitare il coro. La porzione di parete superiore al piano della tribuna è affrescata con motivi geometrici ed è aperta al centro dal rosone. A destra della bussola è appesa la grande croce di legno con due scalette, utilizzate ogni anno di Venerdì Santo per la cerimonia de “su scravamentu”. Agli angoli della parete sono collocate le due acquasantiere di marmo bianco.
La pavimentazione è in ampi pannelli di marmo quadrati a scacchi grigi e bianchi, disposti diagonalmente rispetto alla navata.
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Statua di sant'Antonio abate Statua in legno intagliato, dorato e policromato
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Statua di San Giovanni Battista L'opera è collocata sul gradino superiore dell’altare marmoreo, a destra del retablo ligneo del Rosario, nell'omonima cappella.
La statua è databile alla prima metà del Settecento, e riprende la classica iconografia del san Giovanni Battista in veste da pastorello che tiene con la mano destra una croce di canne e sulla sinistra il caratteristico agnello; sul basamento è presente l’iscrizione SS. IVANES BAPTISTA. Dunque, la statua è molto antica e pregevole.
Il santo è rappresentato in piedi, avvolto parzialmente da un manto rossastro, con i capelli lunghi e una folta barba. Con la mano destra tiene un libro su cui è adagiato un agnello, mentre con la sinistra tiene una croce con un carteggio scolorito e addita con l'indice l'agnello.
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Statua Sant’Isidoro Agricola Il culto di sant’Isidoro agricola, patrono di Madrid, si diffonde a partire dalla metà del XVII secolo nei territori della Corona di Spagna e conseguentemente anche in Sardegna, dove, in area rurale, soppianta i precedenti culti tardomedievali. Protettore degli agricoltori, è rappresentato con gli strumenti del mestiere, accanto ad un gruppo con due buoi guidati da due personaggi di modulo minore. L’iconografia rimanda infatti ad uno dei miracoli riferiti al Santo, il quale, per la sua forte dedizione alla preghiera, venne premiato con l’aiuto divino: l’aratro, miracolosamente, iniziò ad essere portato da una coppia di angeli. I caratteri stilistici, coerentemente con l’anno di canonizzazione del Santo, avvenuta soltanto nel 1622, ci permettono di riferire l’opera ad un intagliatore locale della metà del XVIII secolo.
La statua è collocata sulla parete di destra della Cappella del Rosario. Il perimetro della statua è delimitato da una cornice quadrangolare in legno, nella cui parte alta si nota una croce al centro con una decorazione geometrica che si estende in orizzontale.
Alla mano del santo è legato un mazzo di spighe che vengono sostituite ogni anno in occasione della sua festa che si celebra il terzo sabato di maggio. Il giorno della festa liturgica, infatti, è il 15 maggio.
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Statua di Sant'Antioco La statua di sant'Antioco si conserva all'interno della Cappella del Rosario sul sopragrado dell’altare marmoreo a sinistra del retablo del Rosario.
Il santo, riconoscibile dalla pelle scura, è raffigurato con una lunga veste di colore rosso, simbolo del martirio. Le due lunghe maniche della veste rimandano alla stesso modello del sant'Antioco di Iglesias.
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Candelieri Lignei I candelieri monumentali, corredo in coppia dell'altare o della mensa stessa, si ergono su una base a piramide tronca sostenuta da tre zampe leonine. I poggiante su disco baccellato con globo sommitale. Stilisticamente databili al tardo XII presentano tracce di doratura a guazzo.
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Tomba gentilizia di Giovanna Angela Pes La tomba gentilizia contenente le spoglie della nobildonna Giovanna Angela Pes si trova nella chiesa parrocchiale di San Pietro a Nuraminis. Ad ospitare questa sepoltura è la prima cappella che troviamo entrando sulla sinistra, la cappella delle anime. La lastra marmorea a copertura della tomba si trova sul pavimento coperta da una lastra di vetro che protegge le incisioni, la quale è sicuramente stata installata in un secondo momento. Questo si può evincere dal fatto che le incisioni sono leggibili ma sicuramente rovinate, e Tonino Mura nel suo libro dice che siano state rovinate dal calpestio dei fedeli. La cappella che ospita la sepoltura è piccola e disadorna, al suo interno troviamo un pregevole cristo ligneo e un altare di marmo.
Nell’epigrafe leggiamo che la sepoltura in tale cappella è voluta dal figlio della defunta, il canonico Cugia, membro del capitolo metropolitano di Cagliari. Il canonico, che beneficiava delle prebende di Serramanna, Villacidro e Nuraminis, era quindi una figura influente all'interno della Chiesa sarda del tempo. Il suo ruolo ecclesiastico gli conferiva prestigio non solo religioso, ma anche sociale ed economico. Beneficiare delle prebende significava ricevere delle rendite derivanti da quelle chiese o territori, questo aumentava il peso politico del chierico.
Nell’epigrafe riusciamo a leggere il luogo di provenienza della donna che è Cagliari e l’anno di morte, il 1707, che con ottime probabilità coincide con l’anno di installazione della lastra funebre. Il fatto che la tomba sia dotata di un’epigrafe che ne identifica le spoglie aumenta il valore rappresentativo di tale opera. Quindi la tomba non ha solo una funzione commemorativa, ma afferma anche il prestigio della famiglia.
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Epigrafe Paolo Maria Serci L'epigrafe, incisa su supporto marmoreo, è posta nell'aula della parrocchiale di San Pietro, nel pilastro tra prima e seconda cappella del lato sinistro.
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Statua del Cristo deposto La statua lignea del Cristo deposto, verosimilmente dell'ultimo scorcio del XVII secolo, è conservato all'interno di una pregevole teca del secolo successivo. Si trova sulla parete di fondo della prima cappella a sinistra della chiesa che deve al simulacro ligneo il suo nome, anche se negli scritti di monsignor Spiga viene chiamata anche Cappella delle anime. La cappella è tra tutte la più buia e spoglia.
La statua lignea del Cristo morto, adagiato su un panno violaceo, è posizionata sopra un semplice altarino. Adagiate sul muro ci sono la croce nera in legno massiccio e le due scalette laterali che vengono usate durante i riti della Settimana Santa.
Infatti, questo simulacro viene utilizzato nelle celebrazioni della Settimana Santa e viene portato in processione per le strade del paese la sera del venerdì Santo.
Il simulacro è di pregevole fattura, tra i più antichi di quelli custoditi in parrocchia, che rappresenta il Cristo, quasi a grandezza naturale, con gli occhi chiusi ed un viso disteso nella serenità della morte.
Evidente è la ferita del costato da cui sgorgano gocce di sangue dipinte sul fianco. Il corpo, cinto da una fascia verdognola, appare dilaniato dai tormenti della passione ed irrigidito nell'immobilità della morte. Il Cristo deposto presenta, inoltre, i fori nelle mani e nei piedi e le braccia snodabili per poter essere inchiodata e schiodata dalla croce, nel rito chiamato de Su Scravamentu.
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Il quadro della Madonna del Rosario All’interno dell’oratorio della Confraternita, spicca il pregevole quadro della Madonna del Rosario . È uno dei pezzi originali risalenti all’antica chiesetta preesistente, andata distrutta nel 1969, ed è datato, verosimilmente, al XVII secolo.
Il dipinto è inserito in una cornice di raffinata lavorazione, con al centro e sui lati preziose lavorazioni fitomorfe in rilievo e, sulla parte superiore, una colomba dorata.
I colori scuri padroneggiano il dipinto e la Madonna del Rosario, posta al centro della composizione, tiene in braccio il Bambin Gesù, sospesa su una grossa nube. Sopra la figura centrale ,si riconoscono due angeli reggenti una corona; altri due, invece, lateralmente alla madonna, tengono un rosario.
Sotto questa scena, sono presenti quattro santi inginocchiati e protesi verso la Vergine in atto di preghiera e, tra questi, sono riconoscibili, a sinistra, San Giacinto di Polonia e San Domenico. Sulla destra troviamo santa Caterina, in primo piano, e, dietro di lei, santa Rosa da Lima. Interessante è la scena presente sullo sfondo: sul paesaggio, quasi abbozzato, si stagliano delle piccole figure bianche incappucciate intente a svolgere una processione. Probabilmente si tratta di una una delle più antiche raffigurazioni della Confraternita del Rosario.
Il quadro è firmato “IVSEP.DERIS-P.F.”, si tratta, dunque, dell’artista seicentesco Giuseppe Deris che lavorò a Cagliari nella chiesa dei gesuiti di san Michele.