Cappe Nere e Cappe Bianche

a cura di Giulia Maria Paderi

Intervista ad Anna Maria Scopelliti

Intervista a Rosella Capriata

Intervista a Cesare Alimonda e Mariano Napoli

Intervista a Mario Pintus e Benedetto Maurandi

Interviste a Leone Francesco, Luigi Pomata, Umberto Quattrocchi, Antonia Palomba, Salvatore Simonetti

Banda S. Cecilia Cappe Bianche

Banda musicale Giuseppe Verdi, cappe nere

Anna Maria Scopelliti alla festa primo maggio cappe nere

Certificato d'iscrizione alla Mutua di Soccorso

Se il primo Maggio del 1950 foste sbarcati nella città di Carloforte l’avreste trovata deserta.

Ma se per curiosità vi foste spinti più in là verso la caletta o verso la punta, avreste trovato ad aspettarvi due atmosfere diverse. Alla punta bandiere, fazzoletti, e garofani rossi, carri addobbati e una banda che suonava canzoni sanguigne, come le definisce Francesco Leone, mentre alla caletta una festa dai toni più raffinati e signorili, come ci raccontava Salvatore Simonetti, e una banda che suonava “Bianco fiore simbolo d’amore”.

Se a questo punto, incuriositi, aveste chiesto il perché di questa divisione, qualcuno della città vi avrebbe spiegato che la prima era la festa dei lavoratori delle cappe nere, la seconda quella delle cappe bianche.

Questa divisione risale alla fine del Novecento, quando un giovane studente di medicina, Giuseppe Cavallera, mandato dalla direzione del partito socialista italiano, quale Consigliere Nazionale per la Sardegna, sbarca a Carloforte e crea nell’8 Settembre del 1897 la Lega dei Battellieri. Contro questo movimento, ci racconta Cesare Alimonda, si schierava la piccola borghesia. Ma contro i socialisti prendevano posizione anche i lavoratori del mare cattolici i quali a loro volta fondarono un’associazione, la Società Mutua di Soccorso e Previdenza, ribattezzata delle “cappe bianche”, perché animata da lavoratori che partecipavano alla confraternita del santissimo sacramento e che alla processione si vestivano di bianco. Per opposizione l’altro schieramento, quello dei socialisti, venne soprannominato delle “cappe nere”.

Questa divisione era molto sentita all’interno della comunità carlofortina. Lo apprendiamo dai racconti di Antonia Palomba: da piccola la madre l’aveva portata all’asilo, e le aveva messo in testa un fiocco rosso, e la suora quando l’aveva vista aveva detto alla madre di toglierlo, altrimenti non sarebbe potuta entrare, oppure che poiché il padre era iscritto al partito comunista, il parroco non gli voleva far battezzare il bambino.

Durante le elezioni, ci racconta ancora Anna Maria Scopelliti, se il marito era democristiano e la moglie comunista stavano qualche giorno senza parlarsi. I problemi potevano esserci anche nel vicinato, infatti una sua amica di sinistra le aveva chiesto di dirle quando passava di là come fossero andate le elezioni, perché nella sua zona erano tutti democristiani e non poteva parlare con nessuno.

Rosella Capriata, ricordando i racconti del padre, ci dice che c’erano due farmacisti, uno che apparteneva alle cappe nere e uno che apparteneva alle cappe bianche, e lì si facevano le riunioni, si ritrovavano e discutevano, “le cappe nere erano quasi esclusivamente lavoratori, hanno iniziato poi con la venuta di Cavallera ancora di più, ovviamente si sono come dire più focalizzati sul discorso delle rivendicazioni sindacali e del lavoro insomma, ma prevalentemente erano modi di pensare, modi di vivere, e alcuni lavoratori erano anche, come dire, stimolati anche dalla chiesa, perché la chiesa aveva un potere molto forte ed era ovviamente schierata verso le cappe bianche, c’era un parroco molto famoso don Pagani, che ovviamente poteva dal pulpito della chiesa richiamare all’ordine”.

Salvatore Simonetti ci dice, invece che non da tutti era sentita questa divisione, infatti quand’ erano giovani lui con i suoi amici quando dovevano andare a prendere le loro ragazze che festeggiavano il primo Maggio con le cappe bianche, addobbavano il vestito con un garofano bianco, e poi quando dovevano andare a prendere quelle delle cappe nere, si toglievano il garofano bianco e si mettevano quello rosso.

Anna Maria Scopelliti ci racconta primo Maggio delle cappe nere, vissuto con la sua famiglia, dice che ci si faceva il garofano rosso con la carta crespa e che si partiva dal cineteatro Cavallera, lì si compravano le bandierine per i bambini, venivano raccolte delle offerte perché c’erano tante spese, poi arrivava il corteo, c’erano anche carri con i bambini sopra, si andava alla punta e si stava lì tutto il giorno, i suoi nonni andavano molto presto perché dovevano prendersi la pietra più bella per stare comodi, e la sera di nuovo il corteo e poi si rientrava in paese. Ogni famiglia portava polpette, cuscus e fettine impanate, un po’ di frutta e canestrelli e si cantavano le canzoni dei partigiani. Il gruppo delle cappe bianche invece andava alla caletta, non facevano nessun corteo, si riunivano semplicemente e andavano per passare una giornata al mare.

Mariano Napoli, era nella Società Mutua di Soccorso e Previdenza da quand’era bambino, perché anche il padre era socio, ha fatto parte del consiglio di amministrazione per tanto tempo, e ci racconta che si è innamorato di questa società perché ha sviluppato in lui la capacità di essere a disposizione degli altri e il senso di collaborazione, si faceva tutto come volontariato, le persone finivano il loro lavoro e poi si andava lì a dare una mano.

Adesso a Carloforte di queste divisioni resta solo il ricordo, il nome di un ristorante alla punta che si chiama Primo Maggio e due teatri, il Cineteatro Cavallera, che era stato istituito dalle cappe nere, e il Cineteatro Mutua che era stato istituito delle cappe bianche, attualmente chiuso. Anche per il primo Maggio ormai ci si riunisce solo nelle campagne con gli amici, mi dice Anna Maria Scopelliti con un velo di nostalgia, guardando le foto che mi ha portato. Prima si lavorava e poi si veniva al teatro ad aiutare, adesso il Cavallera è un luogo di divertimento, cinema e teatro, ci dice il presidente Benedetto Maurandi, anche se si respira sempre un’aria di sinistra, e spera che i giovani possano capire l’importanza che ha avuto questo movimento e avere voglia di sforzarsi e prendersi la responsabilità di mandare avanti questa importante eredità. Pensa che in realtà questa divisione è stata un modo come un altro per spronarsi a fare meglio, “il monopolio porta male”.

E forse è d’accordo su questo anche Cesare Alimonda quando ci dice: “A volte io mi domando, ma forse, ecco perché, la domanda me la sono posta per questo, questo qua l’hanno fatto nel 1909 (Cineteatro Mutua) e hanno costruito il fabbricato, però cosa è successo, che nonostante il rancore gli altri (cappe nere) non è che sono venuti qua hanno messo le bombe e l’hanno demolito, hanno detto noi ne facciamo un’ altro più grande e l’hanno fatto, quindi io penso che questa divisione, anche che portava gli animi all’esasperazione, però ha fatto crescere Carloforte perché c’era questa concorrenza di fare meglio dell’altro che ha portato ad una certa evoluzione, cosa che invece quando non c’è questa concorrenza si appiattisce tutto.”

Bibliografia

Pintus, Mario. U Palassiu. Carloforte: Cooperativa Casa del Proletariato, 2000.

Vallebona, Giuseppe. Profilo storico della società mutua di soccorso e previdenza di Carloforte. Cagliari: Fossataro, 1972.

Pintus, Mario. Miniere e Battelli. Cagliari, 1996.

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