Fatto dal mare. Il faro di Capo Sandalo
a cura di Maria Manca
“A ovest si trova il capo Sandalo, dove verrà presto sistemato un faro di prim’ordine, che i naviganti richiedevano da tempo”, scriveva Alberto Ferrero Della Marmora nel suo Itinerario dell’isola di Sardegna, edito nel 1860.
Ed effettivamente così avvenne. L’architetto cagliaritano Luigi Fadda cominciò a lavorare al progetto nel 1856, e il faro dell’Isola di San Pietro fu ultimato ed entrò in funzione nel 1864.
Su alcune pietre del fabbricato, tra le incisioni che dovevano essere visibili fino a non troppi decenni fa, una di esse riportava il nome di Domenico, scalpellino arrivato da Genova per partecipare alla costruzione del faro, nonché capostipite della famiglia Garbarino a Carloforte.
Anna Maria, discendente di Domenico, racconta che per i membri della sua famiglia il faro è “casa”, perché vi riconoscono la loro origine, il motivo per cui si trovano a Carloforte, tanto che la Lanterna raffigurata sull’albero genealogico simboleggia non solo la provenienza genovese, ma anche il loro forte legame con il faro di Capo Sandalo.
Quando ne parlano lo fanno con trasporto ed emozione, ma non sono gli unici depositari di un sentimento nei suoi confronti: per i Carlofortini è una meta ambita, e anche per i turisti, incoraggiati proprio dagli isolani a visitarlo.
Il fatto che tra i fari italiani sia quello situato più a Occidente suscita una particolare suggestione. Non per nulla, prima dell’introduzione della tecnologia radar, era il riferimento fondamentale per tutte le imbarcazioni che oltrepassavano lo Stretto di Gibilterra e si dirigevano verso il Canale di Sicilia. È un’icona dell’Isola, un soggetto di cartoline.
Resta tuttora uno dei più importanti fari italiani, ma secondo alcuni carlofortini il suo rilievo è diminuito al punto tale da ritenerlo inattivo. Fortunatamente non è così. Oggi il funzionamento automatizzato del faro, con controllo elettronico, fa sì che non sia necessaria una presenza umana costante: si potrebbe dire che col passare del tempo il faro sia diventato via via più solo, fino a essere “vissuto” unicamente all’esterno.
Originariamente, invece, il faro era anche la residenza delle famiglie dei faristi.
Luigi Pellerano, che vi ha vissuto per alcuni anni (fino al 1959), insieme alla sua famiglia e alle famiglie di altri due faristi, racconta che suo padre, oltre al lavoro “ufficiale”, svolgeva necessariamente anche quello di contadino, cacciatore e pescatore; infatti la strada sterrata di collegamento con l’abitato si interrompeva a una certa distanza da Capo Sandalo, in un punto da cui si doveva proseguire lungo una mulattiera.
Perciò la difficoltà degli spostamenti imponeva di essere autosufficienti in tutto, o quasi: ad esempio, un piccolo spazio adiacente al piazzale del faro era recintato e destinato a orto. Il carburante necessario al funzionamento arrivava invece via mare, veniva scaricato su un piccolo molo e trasportato lungo una stradina fino al faro (la cui altezza sul mare è di 134 metri) tramite il lavoro animale, presumibilmente di asini.
Secondo l’ipotesi di Giorgio Ferraro, tutto il necessario per la costruzione del faro fu portato dal mare; l’argomento principale a sostegno di questa tesi consiste nel fatto che fino al 1937 non esisteva la strada che attualmente collega l’abitato di Carloforte a Capo Sandalo, bensì una serie di strade secondarie e poco agevoli.
Il riscontro archivistico che ci permetterebbe di stabilirlo con certezza è sicuramente necessario, quindi prima di effettuarlo non possiamo che chiederci se, dopo aver sommato l’esigenza dei marinai di cui parla Della Marmora e la venuta di maestranze “forestiere”, potremo aggiungere anche il trasporto marittimo dei materiali, per poter affermare che questo faro è “fatto dal mare”, in tutti i sensi.
Bibliografia
Calanca, Barbara, Fari di Sardegna, La Maddalena, P. Sorba, 2006.
Marmora, Alberto Della, Itinerario dell’isola di Sardegna, Vol. 1, Nuoro, Ilisso, 1997.