Monumento a Carlo Felice | statua

a cura di Daniela Ortu

L’opera

Nella prima metà dell'Ottocento anche in Sardegna si afferma in campo artistico una sensibilità di stretta osservanza neoclassica che si manifesta con specifici riferimenti simbolici, culturali e ideologici.

In campo plastico emergono scultori che reinterpretano i modelli romani e canoviani, come il sassarese Andrea Galassi. L'aderenza a simili correnti di gusto e la perizia consentono a questi artisti di ricevere importanti commissioni dai membri della Casa Reale.

In questo contesto, allo stesso Galassi viene affidata la realizzazione della "Statua di Carlo Felice". A commissionarla furono gli Stamenti del Parlamento sardo. Tuttavia, gli elevati costi dell'impresa (27,854 lire) portò alla nomina di un’apposita commissione incaricata di seguirla.

La statua è stata realizzata con colata in bronzo su forma in gesso dei formatori Felice Andreani (o Andreaci) e Camillo Torrenti. È alta quattro metri.  È dedicata a Carlo Felice, re di Sardegna dal (1821 al '31), ed è posizionata sulla piazza Yenne a Cagliari.

Lo stile dell'opera è classicista. Il basamento, alto circa il doppio della statua, si ispira alle architetture romane e così le iscrizioni, i decori e la stessa immagine del monarca, che indossa le vesti di un soldato romano, con elmo in testa, corazza e toga.

Il braccio destro spiegato avrebbe dovuto indicare la direzione della strada regia per Porto Torres (che, come il monumento, porta il nome di Carlo Felice). Ma la statua venne sistemata in posizione diversa rispetto a quella immaginata originariamente e per questo indica la direzione opposta.

Sui quattro lati del basamento sono poste epigrafi con testi dello storico cagliaritano Pietro Martini. Una delle epigrafi così recita:

Qui comincia la via
Da Cagliari a Porto Torres
Decretata e sovvenuta del suo
Da Re Carlo Felice
E qui di Lui sorge
La immagine in bronzo

Il monumento venne realizzato in due momenti. Prima fu prodotta la statua. Il basamento invece venne verosimilmente preparato intorno al 1860, dall'architetto Gaetano Cima.

Celebrare cosa, celebrare chi?

Le motivazioni che spinsero a commissionare il monumento non sono chiare. Carlo Felice ebbe legami stretti con la Sardegna, dove visse per lunghi anni. Investì risorse personali per la realizzazione di diverse opere. Come monarca nel 1829 portò a termine una delle più importanti infrastrutture isolane, la strada reale che collega Cagliari a Sassari. Fin dal Settecento si era cercato di realizzarla,  senza successo.

Il progetto venne avviato nel 1822 sotto la guida del giovane ingegnere Giovanni Antonio Carbonazzi, a capo di una squadra di progettisti.

Il monumento potrebbe essere quindi una sorta di riconoscimento della Sardegna al re che ha dotato l'isola di una infrastruttura tanto importante.

La piazza

La statua venne realizzata per essere posata in piazza San Carlo (l'antico nome di piazza Yenne). La piazza, da sempre è spazio-cerniera tra il quartiere di Stampace e il quartiere della Marina, nell'Ottocento aveva una conformazione diversa.

Una porta si apriva su via Manno e una sull'attuale  via Azuni. La piazza si trovava dunque tra due porte, la sua forma non era regolare come quella odierna, non vi era lo slargo di via San Giorgio, mentre si allargava fra via Manno e corso Vittorio Emanuele.

Fu Giuseppe Sbressa nel 1830 a progettare la riforma della piazza, per farne uno spazio regolare. Un risultato ottenuto con la demolizione delle porte e delle architetture che dalla piazza correvano verso il mare. Da quegli abbattimenti sarebbe nato l'attuale largo Carlo Felice.

Una foto di Delessert mostra la porta di Stampace e una parte del bastione di San Francesco nei giorni della loro demolizione. Un disegno del 1837 mostra invece la statua all’imbocco dell'attuale via Manno e  rivolta verso piazza Yenne.  La statua cambia posizione, forse riflettendo così le incertezze di un piano di riordino che nella sua attuazione è diverso dal progetto iniziale.

A guidare la trasformazione della Cagliari ottocentesca fu Gaetano Cima uno dei progettisti più affermati della Sardegna del primo Ottocento, direttore della scuola di disegno di Cagliari, consulente delle maggiori opere di Cagliari. Fu probabilmente lui a decidere l'attuale posizione del monumento a Carlo Felice.

Il dibattito intorno al monumento

Nell’autunno 2012 un gruppo di indipendentisti ha preso di mira la statua di Carlo Felice, ricoprendo il monumento con un telo bianco e vestendolo coi Quattro Mori.

Sul fianco della statua sono stati issati cappi per commemorare i  cagliaritani uccisi dopo la congiura di Palabanda del 1812.

Gli organizzatori della protesta chiedono di spedire la statua del Savoia a Torino e dedicare lo spazio nella piazza Yenne ai martiri dell’assolutismo sabaudo.

Il gesto ha suscitato  discussioni accese, specialmente nel web, l’agorà dei nostri tempi. Bisogna dire che l’iniziativa cagliaritana e le reazioni che ne sono seguite, hanno offerto un’ottima occasione per discutere del nostro passato, ma anche del come vorremmo che venisse rappresentato.

Il dibattito si è aperto anche a livello accademico. Nella tv locale Sardegna Uno è andato in onda un dibattatito tra Francesco Casula e Giampaolo Salice.

Casula, uno storico indipendentista, descrive i Savoia nei termini di una schiatta dedita alle malefatte e ai massacri. In particolare di Carlo Felice viene rappresentato come campione della repressione e dello sfruttamento dei sardi.  Giampaolo Salice, storico dell'età moderna, sostiene invece un giudizio più articolato e meno netto di una esperienza complessa come è stata la costruzione dello Stato assolutistico in Sardegna [Dialoghi della memoria, 97 - I Savoia e la Sardegna (1ª parte); 98 - I Savoia e la Sardegna (2ª parte)]

Il dibattito è stato perfino teatralizzato, con la messa in scena di un vero e proprio processo all’americana. Nel tribunale, messo in piedi dalla compagnia teatrale Medas nella Sala Giunta del Comune di Cagliari, si sono confrontati Francesco Casula, pubblico ministero, fervente sostenitore della rimozione della scultura, e Enrico Sanjust, avvocato della difesa. Hanno interrogato Carlo Felice, interpretato da Andrea Zucca, e cercato di convincere, ognuno con le sue diverse opinioni, la giuria popolare, presieduta da Gianni Loy, delle loro ragioni.

Lo spettacolo è stato costruito in maniera performativa. Da regista ho solo costruito il mosaico e ho chiamato a partecipare quelle persone che possono dire il loro punto di vista. Il testo ha un perimetro, però poi l’esito finale è stato libero. La giuria popolare ha agito per conto suo, sorprendendo tantissimo anche me”, spiega il regista Gianluca Medas, non nuovo a questo tipo di format. “Alla fine ha vinto la parte per cui la statua non va spostata, almeno nella finzione sperimentale di questo processo, che ha come obiettivo generale quello di portare la città a scoprire la propria essenza. Le scenografie naturali, come questa, sono più belle di quelle ricostruite scenograficamente sul teatro. Indubbiamente più reali. («Cagliari, vince il no alla rimozione nel “Processo alla statua di Carlo Felice”» 2020).

La sentenza della giuria popolare ha assolto Carlo Felice, votando a favore della conservazione del monumento che lo celebra.

Risignificazione

Fuori dal dibattito tra specialisti e cultori di storia, la statua ottocentesca dedicata al re sabaudo Carlo Felice è diventata un simbolo di valori e significativi del tutto imprevisti per coloro che vollero erigere il monumento.

 In occasione della promozione (o permanenza) del Cagliari calcio nella serie A, i tifosi sono soliti vestire la statua con i colori della squadra.  Al sovrano sardo viene infilata una tunica rossoblu, nella mano destra è sistemata una bandiera dei Quattro Mori; in testa un copricapo con i colori sociali.

È una tradizione che si ripete da quasi 60 anni. La prima volta fu nel 1964, quando il Cagliari conquistò la Seria A. La festa più importante è stata quella del 1970 quando il Cagliari vinse lo scudetto («Cagliari: statua Carlo Felice rossoblù per salvezza - Sardegna» 2021, Ansa Sardegna).

Si ringrazia la preziosa collaborazione di professore Marcello Schirru e della giornalista Arianna Desogus.

Approfondimenti

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