Memoria sulla colonia di Santa Sofia
Contenuto
Titolo
Memoria sulla colonia di Santa Sofia
Livello descrittivo
unità documetaria
Titolo originale
Copia di promemoria riguardante la popolazione di Santa Sofia.
Data di inizio
September 7, 1797
Ambiti e contenuto
Vicario Capitolare della Diocesi d'Oristano e il Viceré discutono del contenzioso tra la stessa Diocesi e il conte di Santa Sofia su manutenzione e ristrutturazione della chiesa parrocchiale della nuova colonia di Santa Sofia.
Caratteristiche materiali e requisiti tecnici
cartaceo
Lingua
Italiano
Soggetto conservatore
Archivio di Stato di Cagliari
Nome del soggetto produttore
Archivio di Stato di Cagliari
Trascrizione
Il Vicario Capitolare della Diocesi d’Oristano non può diferire più oltre di rassegnare a Vostra Eccellenza nuove istanze, affinché si degni ordinare al Signor Conte Lostia, che colla maggiore premura metta in eseguimento i mezzi propostigli e dal fu Monsignor Cusani con suo Promemoria risponsivo agli eccitamenti fattigli dal suddetto sotto gli 8 gennaio 1795, e dal Rassegnante in qualità allora di Vicario Generale dotto li 21 febbraio scorso anno, per poter quindi venir somministrato dal Superiore Ecclesiastico il pascolo spirituale agl’infelici popolani di Santa Sofia.
Si è il Rassegnante adoperato finora con promesse, e lusinghe, perché non mancasse a quella popolazione un Sacerdote, che vi fu già spedito per fingervi le veci di Parroco colla espressa condizione, che non intendeva rimanervi senon se per tutto il corrente agosto, qualora non fosse provveduto di tutto ciò e quanto era il Signor Conte obbligato provvedere a termini del contenuto nelle due surriferite Rassegnanze; e sperava, che intanto egli non avrebbe trascurato di adempirvi con esattezza.
Rimaste essendo però deluse le sue giuste speranze: ed osservando altronde, che il Signor Conte vorrebbe far ricadere su questa Mensa Arcivescovile tutto il peso degli obblighi da lui contratti coll’istrumento d’infeudazione; vedesi costretto | di accennare nuovamente a Vostra Eccellenza i motivi che assistono la suddetta per credersi sgravata da qualunque carico abbia inteso una volta contrarre circa il mantenimento della Chiesa, e del Parroco di Santa Sofia nel supposto, che avessero avuto effetto i patti apposti alla da lui progettata popolazione, e giustizia lasci gli ordini opportuni per obbligare il sullodato Conte all’eseguimento di essi.
Gli obblighi contratti, Eccellenza, dalla Mitra di Oristano relativamente all’oggetto, di cui si tratta, procedono in coerenza di quelli contratti dal Feudatario per lo stabilimento, e successivo ingrandimento di detta popolazione.
Questi servirono di norma al fù allora ben oculato Arcivescovo Don Luigi Delcarretto, allorché prestò il suo assenso a quanto pretende ora il Signor Conte, che si eseguisca dalla Mensa Arcivescovile.
Non intese quegli con ciò di aggravare i suoi successori con un nuovo peso, che prevedeva altrettanto oneroso, quanto inutile, ove il feudatario non secondasse efficacemente le Regie mira, che tendevano al maggiore accrescimento del nuovo progettato Villaggio.
Propose infatti il summentovato arcivescovo di addossarsi il peso della manutenzione della nuova Parrocchia, e del Parroco in d’allor quando incominciassero a rendere dugento starelli grano le annuali decime.
Né desistè in appresso da | tal pretesa, che in forza della condizione surrogata dal Feudatario, cioè di dovervi stabilire, e mantenere il numero fisso di quaranta famiglie, colle cui decime era da sperare, che fosse assicurata almeno in gran parte la congrua del Parroco, attesa la feracità dei terreni, che i popolani dovrebbero coltivare coll’assistenza di esso Feudatario.
Con questo espresso patto, e non altrimenti acconsentì al divisato contratto Monsignor Delcarretto, e dall’adempimento di quello dipendono gli obblighi relativi di questa Mensa: obblighi quindi, che hanno cessato interamente, dacché il Signor Conte non ha curato di adempiere a quello, su cui sono questi come a propria base onninamente fondati.
La pruova di questo accerto potrà Vostra Eccellenza averla con assai di agevolezza, ordinando a qualche soggetto del suo gradimento, che si porti nel luogo per informarla dello stato infelice, a cui sono ridotti quei pochi Terrazani, che sono sopravissuti all’indigenza, all’assassinio dei ladri, ed al rigore delle stagioni, se non volesse persuadersene con quanto ha l’onore di rassegnarle il sottoscritto, che nel settembre dello scorso anno volle chiarirsene da se stesso, e vi si portò in persona per visitare la Parrocchia, previa participazione fatta all’Ecellenza Vostra.
Trovò egli il villaggio composto allora di solo otto, o nove famiglia ridotte al presente alla metà, come da recenti riscontri.
Alloggiavano | queste in case aperte, rovinate, ed esposte in conseguenza agl’insulti dei ladri, non essendo quei pochi popolani sufficienti ad impedire l’unione, ed il commercio, di cui nel vasto Arcidano, che fu il fine propostosi dal Sovrano nell’accordare al Signor Conte il feudo coll’obbligo di stabilirvi una nuova popolazione.
Sono anzi / come esse medesime assicurarono / prive di ogni soccorso per potersi occupare nella coltura dei terreni; per lo che non sono in istato di procurarsi da se la necessaria sussistenza.
L’intero prodotto delle decime nello scorso anno fù di soli otto starelli.
Nel corrente è da vedere si o molto di meno, o forse nulla.
Siché prive eziandio della speranza di vedere migliorare la loro sorte sono disposte ad abbandonare quel luogo, e procurarsi altrove sollievo ai loro bisogni in un meno infelice soggiorno.
Altro patto espresso nell’atto dell’infeudazione si fù pure, che il Signor Conte dovesse edificare nel nuovo Villaggio una Chiesa sufficiente, e provvedesse questa di vasi sacri, ed altre suppellettili necessarie al servizio, e decoro di una Parrocchia. Né a tale patto curò egli di adempiere.
La Chiesa di Santa Sofia non potè riconoscersi fabbricata a dovere, mentre construtte erano interamente di fango | le quattro sue pareti, ond’è, che immediatamente dopo la seguita erezione abbisognò di pronto riparo.
Quindi è, che aperta essendo da tutti i lati, dicché minaccia rovina la sua ristaurazione, non deve restare a carico della Mensa; ma bensì di lui medesimo non meno per la di sopra accennata ragione, che per non essere stata dal principio edificata nel modo, e forma, che ben s’avveniva ad una Chiesa Parrocchiale, la quale non dovea costruersi perché durasse mesi, e servisse soltanto per la sola formalità di avere adempito all0obbligo addossatosi in limine contractus.
E tanto è ciò vero, quanto è verissimo, che il Sottoscritto nella vacante di Monsignor Artesan in simile qualità di Vicario Capitolare fece replicate instanze al Governo all’oggetto di costringere detto Signor Conte a ripararla.
Che se il defonto Monsignor Cusani di diede da se ogni possibil premura per ripararla a proprie spese, ciò fu a titolo di carità com’egli si esprime nella summentovata sua memoria degli 8 gennaio 1795, mosso a compassione dello stato infelice di quei popolani ch’erano sul punto di rimanere privi del pascolo spirituale per la imminente rovina della Parrocchia.
Ora, se restò delusa l’utilità, ed il vantaggio | propostosi da Sua Magnificenza nello stabilimento di quella nuova popolazione, se il signor Conte non ha curato di formarla del pattuito numero di quaranta famiglie; se ha mancato all’obbligo contratto di terminarla nello spazio di anni dieci, com’egli confessa di esserci aciò astretto nell’atto della infeudazione; se fece chiuder comunque un ambito di quattro muri di puro fango, e non fece fabbricare una Chiesa a dovere colle sue Sagrestia, e Cemetero | che tutto vi manca / di pietra, e calcuna, o di questa, e di matton cotto, ond’è, che dopo pochi anni dovette essere riparata, perché minacciava rovina, ha egli in conseguenza mancato a tutti gli obblighi da se contratti, e non può quindi compellere con ragione, e giustizia la Menza Arcivescovile d’Oristano all’adempimento di quelli, ch’essa contrasse in dipendenza dei proprj del Feudatario, giacché non possono, né devono aver luogo, se non se in accessorio dei patti, che immediatamente riguardavano l’instituzione, progresso, e perfezione del nuovo Villaggio, ai quali non adempì il Signor Conte.
Per la qual cosa intende Vostra Eccellenza aver cessato in ogni modo i relativi pesi di detta Mensa, ed essere irragionevole la pretesa di quello contro di questa.
Né qui si può il Sottoscritto dissimulare a Vostra Eccellenza, che ove il Signor Conte non pensi a provvedere | efficacemente del bisognevole la Parrocchia, come gliene corre l’obbligo, rivedrà senza meno costretto ad interdirla, attesa non solo l’indecenza della fabbrica, ma delle suppellettili sacre, e la mancanza di quanto è necessario per l’amministrazione dei Sagramenti, e per la celebrazione del Santo Sagrifizio.
Esiste in quella un piccolo altare indecentissimo con un Crocifisso, ed un quadro di San Giuseppe che per esser vecchj, e logori dovrebbero esser già interdetti.
Mancano le tre tovaglie, e manca l’ara, mentre quella, che vi si trova, è presa in prestito dalla Parrocchia di Meana.
Non vi è il fonte Battesimale, non il cucchiajo per uso del battesimo, non Tabernacolo pel Sagramento. Non v’è, come sopra si è accennato, Sagrestia, né Cemetero.
Non è dotata del reddito necessario il quale per altro a seconda degli Ordini Sovrani è richiesto fino per le Chiese rurali, ond’è, che non può essere provveduta dell’olio, e della cera, di cui abbisogna indispensabilmente.
Insomma tutto in quella Chiesa è indecente, e di tutto scarseggia in modo, che il Sarcerdote, che vi celebra la Messa, porta seco dalla succennata Parrocchia di Meana quanto abbisogna.
Il Feudatario pertanto non ha giammai pensato a provvederla degli arredi, e suppelletili.
Né potrà egli allegare il deperimento dei medesimi mentre né il fonte Battesimale, né il Tabernacolo | né l’Ara, né i Vasi Sacri sarebbero mancati per le ingiurie del tempo, come non è mancato il Calice, la Patena, ed un logoro Paramentale, che formano l’intera suppellettile di quella Chiesa.
Tale, Eccellenza, è lo stato della popolazione, e della Chiesa di Santa Sofia, che dopo la visita personalmente fattane ha l’infrascritto Vicario Capitolare l’onore di rassegnare a Vostra Eccellenza cogli opportuni riflessi, che insieme le umilia, non solo affine di liberare d’una volta questa Mensa Arcivescovile dalle irragionevoli pretese del Signor Conte, ma eziandio all’oggetto di costringerlo con efficacia all’eseguimento deli obblighi contratti nello stromento d’infeudazione, protestandosi formalmente, che non provvedendo egli a quanto è necessario per la decorosa manutenzione, e riparazione di detta Chiesa, diverrà senz’altro all’interdetto della medesima, come sene crede strettamente obbligato in coscienza.
Oristano 7 settembre 1797.
L’arciprete Sisternes De Oblites Vicario Generale Capitolare
Si è il Rassegnante adoperato finora con promesse, e lusinghe, perché non mancasse a quella popolazione un Sacerdote, che vi fu già spedito per fingervi le veci di Parroco colla espressa condizione, che non intendeva rimanervi senon se per tutto il corrente agosto, qualora non fosse provveduto di tutto ciò e quanto era il Signor Conte obbligato provvedere a termini del contenuto nelle due surriferite Rassegnanze; e sperava, che intanto egli non avrebbe trascurato di adempirvi con esattezza.
Rimaste essendo però deluse le sue giuste speranze: ed osservando altronde, che il Signor Conte vorrebbe far ricadere su questa Mensa Arcivescovile tutto il peso degli obblighi da lui contratti coll’istrumento d’infeudazione; vedesi costretto | di accennare nuovamente a Vostra Eccellenza i motivi che assistono la suddetta per credersi sgravata da qualunque carico abbia inteso una volta contrarre circa il mantenimento della Chiesa, e del Parroco di Santa Sofia nel supposto, che avessero avuto effetto i patti apposti alla da lui progettata popolazione, e giustizia lasci gli ordini opportuni per obbligare il sullodato Conte all’eseguimento di essi.
Gli obblighi contratti, Eccellenza, dalla Mitra di Oristano relativamente all’oggetto, di cui si tratta, procedono in coerenza di quelli contratti dal Feudatario per lo stabilimento, e successivo ingrandimento di detta popolazione.
Questi servirono di norma al fù allora ben oculato Arcivescovo Don Luigi Delcarretto, allorché prestò il suo assenso a quanto pretende ora il Signor Conte, che si eseguisca dalla Mensa Arcivescovile.
Non intese quegli con ciò di aggravare i suoi successori con un nuovo peso, che prevedeva altrettanto oneroso, quanto inutile, ove il feudatario non secondasse efficacemente le Regie mira, che tendevano al maggiore accrescimento del nuovo progettato Villaggio.
Propose infatti il summentovato arcivescovo di addossarsi il peso della manutenzione della nuova Parrocchia, e del Parroco in d’allor quando incominciassero a rendere dugento starelli grano le annuali decime.
Né desistè in appresso da | tal pretesa, che in forza della condizione surrogata dal Feudatario, cioè di dovervi stabilire, e mantenere il numero fisso di quaranta famiglie, colle cui decime era da sperare, che fosse assicurata almeno in gran parte la congrua del Parroco, attesa la feracità dei terreni, che i popolani dovrebbero coltivare coll’assistenza di esso Feudatario.
Con questo espresso patto, e non altrimenti acconsentì al divisato contratto Monsignor Delcarretto, e dall’adempimento di quello dipendono gli obblighi relativi di questa Mensa: obblighi quindi, che hanno cessato interamente, dacché il Signor Conte non ha curato di adempiere a quello, su cui sono questi come a propria base onninamente fondati.
La pruova di questo accerto potrà Vostra Eccellenza averla con assai di agevolezza, ordinando a qualche soggetto del suo gradimento, che si porti nel luogo per informarla dello stato infelice, a cui sono ridotti quei pochi Terrazani, che sono sopravissuti all’indigenza, all’assassinio dei ladri, ed al rigore delle stagioni, se non volesse persuadersene con quanto ha l’onore di rassegnarle il sottoscritto, che nel settembre dello scorso anno volle chiarirsene da se stesso, e vi si portò in persona per visitare la Parrocchia, previa participazione fatta all’Ecellenza Vostra.
Trovò egli il villaggio composto allora di solo otto, o nove famiglia ridotte al presente alla metà, come da recenti riscontri.
Alloggiavano | queste in case aperte, rovinate, ed esposte in conseguenza agl’insulti dei ladri, non essendo quei pochi popolani sufficienti ad impedire l’unione, ed il commercio, di cui nel vasto Arcidano, che fu il fine propostosi dal Sovrano nell’accordare al Signor Conte il feudo coll’obbligo di stabilirvi una nuova popolazione.
Sono anzi / come esse medesime assicurarono / prive di ogni soccorso per potersi occupare nella coltura dei terreni; per lo che non sono in istato di procurarsi da se la necessaria sussistenza.
L’intero prodotto delle decime nello scorso anno fù di soli otto starelli.
Nel corrente è da vedere si o molto di meno, o forse nulla.
Siché prive eziandio della speranza di vedere migliorare la loro sorte sono disposte ad abbandonare quel luogo, e procurarsi altrove sollievo ai loro bisogni in un meno infelice soggiorno.
Altro patto espresso nell’atto dell’infeudazione si fù pure, che il Signor Conte dovesse edificare nel nuovo Villaggio una Chiesa sufficiente, e provvedesse questa di vasi sacri, ed altre suppellettili necessarie al servizio, e decoro di una Parrocchia. Né a tale patto curò egli di adempiere.
La Chiesa di Santa Sofia non potè riconoscersi fabbricata a dovere, mentre construtte erano interamente di fango | le quattro sue pareti, ond’è, che immediatamente dopo la seguita erezione abbisognò di pronto riparo.
Quindi è, che aperta essendo da tutti i lati, dicché minaccia rovina la sua ristaurazione, non deve restare a carico della Mensa; ma bensì di lui medesimo non meno per la di sopra accennata ragione, che per non essere stata dal principio edificata nel modo, e forma, che ben s’avveniva ad una Chiesa Parrocchiale, la quale non dovea costruersi perché durasse mesi, e servisse soltanto per la sola formalità di avere adempito all0obbligo addossatosi in limine contractus.
E tanto è ciò vero, quanto è verissimo, che il Sottoscritto nella vacante di Monsignor Artesan in simile qualità di Vicario Capitolare fece replicate instanze al Governo all’oggetto di costringere detto Signor Conte a ripararla.
Che se il defonto Monsignor Cusani di diede da se ogni possibil premura per ripararla a proprie spese, ciò fu a titolo di carità com’egli si esprime nella summentovata sua memoria degli 8 gennaio 1795, mosso a compassione dello stato infelice di quei popolani ch’erano sul punto di rimanere privi del pascolo spirituale per la imminente rovina della Parrocchia.
Ora, se restò delusa l’utilità, ed il vantaggio | propostosi da Sua Magnificenza nello stabilimento di quella nuova popolazione, se il signor Conte non ha curato di formarla del pattuito numero di quaranta famiglie; se ha mancato all’obbligo contratto di terminarla nello spazio di anni dieci, com’egli confessa di esserci aciò astretto nell’atto della infeudazione; se fece chiuder comunque un ambito di quattro muri di puro fango, e non fece fabbricare una Chiesa a dovere colle sue Sagrestia, e Cemetero | che tutto vi manca / di pietra, e calcuna, o di questa, e di matton cotto, ond’è, che dopo pochi anni dovette essere riparata, perché minacciava rovina, ha egli in conseguenza mancato a tutti gli obblighi da se contratti, e non può quindi compellere con ragione, e giustizia la Menza Arcivescovile d’Oristano all’adempimento di quelli, ch’essa contrasse in dipendenza dei proprj del Feudatario, giacché non possono, né devono aver luogo, se non se in accessorio dei patti, che immediatamente riguardavano l’instituzione, progresso, e perfezione del nuovo Villaggio, ai quali non adempì il Signor Conte.
Per la qual cosa intende Vostra Eccellenza aver cessato in ogni modo i relativi pesi di detta Mensa, ed essere irragionevole la pretesa di quello contro di questa.
Né qui si può il Sottoscritto dissimulare a Vostra Eccellenza, che ove il Signor Conte non pensi a provvedere | efficacemente del bisognevole la Parrocchia, come gliene corre l’obbligo, rivedrà senza meno costretto ad interdirla, attesa non solo l’indecenza della fabbrica, ma delle suppellettili sacre, e la mancanza di quanto è necessario per l’amministrazione dei Sagramenti, e per la celebrazione del Santo Sagrifizio.
Esiste in quella un piccolo altare indecentissimo con un Crocifisso, ed un quadro di San Giuseppe che per esser vecchj, e logori dovrebbero esser già interdetti.
Mancano le tre tovaglie, e manca l’ara, mentre quella, che vi si trova, è presa in prestito dalla Parrocchia di Meana.
Non vi è il fonte Battesimale, non il cucchiajo per uso del battesimo, non Tabernacolo pel Sagramento. Non v’è, come sopra si è accennato, Sagrestia, né Cemetero.
Non è dotata del reddito necessario il quale per altro a seconda degli Ordini Sovrani è richiesto fino per le Chiese rurali, ond’è, che non può essere provveduta dell’olio, e della cera, di cui abbisogna indispensabilmente.
Insomma tutto in quella Chiesa è indecente, e di tutto scarseggia in modo, che il Sarcerdote, che vi celebra la Messa, porta seco dalla succennata Parrocchia di Meana quanto abbisogna.
Il Feudatario pertanto non ha giammai pensato a provvederla degli arredi, e suppelletili.
Né potrà egli allegare il deperimento dei medesimi mentre né il fonte Battesimale, né il Tabernacolo | né l’Ara, né i Vasi Sacri sarebbero mancati per le ingiurie del tempo, come non è mancato il Calice, la Patena, ed un logoro Paramentale, che formano l’intera suppellettile di quella Chiesa.
Tale, Eccellenza, è lo stato della popolazione, e della Chiesa di Santa Sofia, che dopo la visita personalmente fattane ha l’infrascritto Vicario Capitolare l’onore di rassegnare a Vostra Eccellenza cogli opportuni riflessi, che insieme le umilia, non solo affine di liberare d’una volta questa Mensa Arcivescovile dalle irragionevoli pretese del Signor Conte, ma eziandio all’oggetto di costringerlo con efficacia all’eseguimento deli obblighi contratti nello stromento d’infeudazione, protestandosi formalmente, che non provvedendo egli a quanto è necessario per la decorosa manutenzione, e riparazione di detta Chiesa, diverrà senz’altro all’interdetto della medesima, come sene crede strettamente obbligato in coscienza.
Oristano 7 settembre 1797.
L’arciprete Sisternes De Oblites Vicario Generale Capitolare
Autore trascrizione
Carboni G., Corrias F., Cuccu M., Deledda, A.
Autore della riproduzione digitale
Giampaolo Salice
Data della riproduzione digitale
2012
Formato
.jpg
ESC - Ente schedatore
Carboni G., Corrias F., Cuccu M., Deledda, A.
Autore della scheda
LUDiCa
Identificativo
Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, II serie, busta 1290
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