Maschera de Su Bundhu
Contenuto
Titolo
Maschera de Su Bundhu
Definizione dell'oggetto
Maschera tradizionale del carnevale di Orani
Denominazione locale dell'oggetto
Su Bundu
Localizzazione
Orani
Categoria generale
Festa, rappresentazione, spettacolo
Autore fabbricazione/esecuzione
Roberto Cosseddu
Misure
Altezza 34,5 cm, larghezza 16 cm
Materia e tecnica
Sughero, colore
Funzione
Funzione apotropaica legata al carnevale
Modalità d'uso
Indossata dagli uomini della comunità di Orani durante le sfilate del carnevale Oranense
Occasione
In occasione del carnevali di Orani, Pro Carraseccare
Stato di conservazione
Ottimo stato di conservazione
Descrizione
Questa maschera tradizionale è stata riscoperta alla fine degli anni ottanta dalla pro-loco di Orani con la collaborazione di alcuni artisti oranesi come il prof. Gesuino Fadda, il prof. Nunzio Nivola e da artigiani del sughero come Peppino Zichi, Pietro Balvis, Roberto Cosseddu, Paolo e Antonio Loche che hanno ricostruito non solo la maschera ma anche l’abbigliamento utilizzato.
Secondo le testimonianze orali raccolte ci sarebbero tre documenti storici che attestano l'esistenza della maschera sin dal XVIII secolo.
Fu un frate gesuita sardo, anonimo, a scrivere una poesia durante la sua visita ad Orani avvenuta il gennaio del 1772. Il padre gesuita descrive alcuni elementi della maschera in sughero e del vestiario come il cappotto di orbace e afferma che questa maschera si aggirava per le strade del paese di Orani insieme alla maschera di Su Maimone.
Un altro riferimento alla maschera lo ritroviamo in una lettera del 1955 scritta da Don Raimondo Bonu che scrive che le maschere di Orani sono legate alla festa di Sant’Antonio Abate in Gennaio, quando inizia il carnevale.
Don Bonu riporta che tra le figure del carnevale ad Orani sopravvivevano ancora quella di Su Bundhu, di Su Fizu o il figlio, e quella di Su Deus de su entu il dio del vento e che Su Bundhu rappresentava il bene e il male. Poteva essere vestito col mantello in orbace nero e rappresentare il male, mentre se il mantello era bianco rappresentava il bene.
La maschera era in sughero lavorato e recava in mano un forcone dal lungo bastone.
Insieme a Su Maimone, Su Bundhu andava in giro facendo il verso dei soffi del vento.
La maschera può essere definita una maschera antropo-bovina di forma ovoidale con tratti somatici volutamente accentuati con il naso aquilino, il doppio mento e i baffi prominenti.
Sulla fronte recava le corna bovine ad indicare una simbiosi tra il mondo animale e quello umano.
Il colore della maschera è rosso, si crede che anticamente la si colorasse proprio con il sangue bovino, corna, baffi e pizzo sono bianchi.
Come costume indossa gli abiti tradizionali da contadino ovvero, su saccu un cappotto lungo con cappuccio in orbace, una lana grezza detta su vresi, una camicia, dei pantaloni di velluto e i gambali rigorosamente in cuoio.
Durante il carnevale per la festa di Sant’Antonio, a gennaio, son bundhos circondano il fuoco e imitano i muggiti e il rumore del vento, importante per sos massajos, i contadini, in quanto portava le nuvole cariche d’acqua.
Le maschere andavano in giro per il paese emettendo versi e lamenti che richiamano le anime in pena del purgatorio, mimando il rito della semina impugnando su trivuthu, un forcone di legno che il contadino usava per separare il grano dalla crusca, attraverso gesti rituali e minacciando i passanti con il tridente e bacchettando i loro i piedi li si incitava ad unirsi alla danza.
La festa inizia con la visita dei fuochi da parte dei Sos Bundos, alle maschere viene offerto su pistiddu, il dolce tipico preparato per S. Antonio e benedetto durante la processione.
Il dolce viene offerto anche a tutti i presenti e inviato nelle case dei malati a tredici persone di nome di Antonio.
Il carnevale Nasce come festa propiziatoria della fertilità e dell’abbondanza delle messi, tipica del mondo agropastorale che si festeggia spesso nelle comunità montane in diversi paesi europei.
Essendo su Bundhu una figura antropobovina simboleggia con il bue, da una parte la forza animalesca, selvaggia e fecondatrice della natura e dall’altra la razionalità dell’essere umano custode della conoscenza che veicola e offre alla madre terra per propiziarsi la sua benevolenza e la prosperità.
La figura del bue d’altro canto incarna e rappresenta la cultura agropastorale con la sua forza e mansuetudine, facilmente addomesticabile era fondamentale come aiuto nella coltivazione della terra e nel trasporto di beni come animale da traino.
Le credenze popolari sono discordanti, identificando Su Bundu a volte con il male, quando si pensava che volesse intimorire gli uomini, altre volte con il bene, identificandolo con un dio del vento che aiutava i contadini a separare il grano dalla crusca.
La tradizione popolare narra la storia di un coraggioso contadino il quale, durante una notte tempestosa, travestito da Bundhu convinse gli spiriti inquieti a rispettare la gente e il proprio raccolto.
Il Signor Italo Chironi di Orani racconta di come la maschera originale sia stata trovata dal professor Marchi, studioso di tradizioni sarde, nella casa della famiglia nobile di origine corsa Semidei ed in seguito portata dal professore a Nuoro, ad oggi si trova presso il Museo Etnografico Sardo di Nuoro.
Non si conoscerebbe la motivazione della presenza di questa maschera presso la famiglia Semidei, né il significato originario, il signor Chironi suppone possa esser stata utilizzata in occasione di feste licenziose private di natura rituale, visto il potere e il tenore di vita benestante della famiglia e crede possa trattarsi di una rappresentazione del diavolo o di un demone.
Il signor Peppino Zichi, maestro intagliatore e fondatore del gruppo folcloristico Sos Bundhos, racconta un aneddoto di quando era bambino sostenendo di aver visto di persona Su Bundhu mentre giocava con altri bambini per strada ad Orani e di aver sentito il rumore della catena strisciare per strada e i versi lamentosi e gutturali del personaggio.
Secondo Zichi la maschera di Su Bundhu rappresenterebbe una figura arcaica simboleggiante un indemoniato che si trasforma in un essere per metà bue e per metà uomo.
Anche il signor Zichi racconta che la maschera, sia stata trovata dal professor Marchi, studioso di tradizioni popolari sarde, presso la dimora della famiglia Semidei e che da lì sarebbe stata portata a Nuoro.
In seguito verso gli anni Settanta del Novecento sarebbe stata riportata ad Orani e ne sarebbe stata curata una ricostruzione del costume della maschera grazie alla Proloco con la collaborazione di vari artisti che portò l’aggiunta alla maschera di alcuni elementi come il mantello in orbace, la catena usata per limitare i movimenti dei buoi e il tridente in legno, utensile legato alla vita agricola.
Secondo le testimonianze orali raccolte ci sarebbero tre documenti storici che attestano l'esistenza della maschera sin dal XVIII secolo.
Fu un frate gesuita sardo, anonimo, a scrivere una poesia durante la sua visita ad Orani avvenuta il gennaio del 1772. Il padre gesuita descrive alcuni elementi della maschera in sughero e del vestiario come il cappotto di orbace e afferma che questa maschera si aggirava per le strade del paese di Orani insieme alla maschera di Su Maimone.
Un altro riferimento alla maschera lo ritroviamo in una lettera del 1955 scritta da Don Raimondo Bonu che scrive che le maschere di Orani sono legate alla festa di Sant’Antonio Abate in Gennaio, quando inizia il carnevale.
Don Bonu riporta che tra le figure del carnevale ad Orani sopravvivevano ancora quella di Su Bundhu, di Su Fizu o il figlio, e quella di Su Deus de su entu il dio del vento e che Su Bundhu rappresentava il bene e il male. Poteva essere vestito col mantello in orbace nero e rappresentare il male, mentre se il mantello era bianco rappresentava il bene.
La maschera era in sughero lavorato e recava in mano un forcone dal lungo bastone.
Insieme a Su Maimone, Su Bundhu andava in giro facendo il verso dei soffi del vento.
La maschera può essere definita una maschera antropo-bovina di forma ovoidale con tratti somatici volutamente accentuati con il naso aquilino, il doppio mento e i baffi prominenti.
Sulla fronte recava le corna bovine ad indicare una simbiosi tra il mondo animale e quello umano.
Il colore della maschera è rosso, si crede che anticamente la si colorasse proprio con il sangue bovino, corna, baffi e pizzo sono bianchi.
Come costume indossa gli abiti tradizionali da contadino ovvero, su saccu un cappotto lungo con cappuccio in orbace, una lana grezza detta su vresi, una camicia, dei pantaloni di velluto e i gambali rigorosamente in cuoio.
Durante il carnevale per la festa di Sant’Antonio, a gennaio, son bundhos circondano il fuoco e imitano i muggiti e il rumore del vento, importante per sos massajos, i contadini, in quanto portava le nuvole cariche d’acqua.
Le maschere andavano in giro per il paese emettendo versi e lamenti che richiamano le anime in pena del purgatorio, mimando il rito della semina impugnando su trivuthu, un forcone di legno che il contadino usava per separare il grano dalla crusca, attraverso gesti rituali e minacciando i passanti con il tridente e bacchettando i loro i piedi li si incitava ad unirsi alla danza.
La festa inizia con la visita dei fuochi da parte dei Sos Bundos, alle maschere viene offerto su pistiddu, il dolce tipico preparato per S. Antonio e benedetto durante la processione.
Il dolce viene offerto anche a tutti i presenti e inviato nelle case dei malati a tredici persone di nome di Antonio.
Il carnevale Nasce come festa propiziatoria della fertilità e dell’abbondanza delle messi, tipica del mondo agropastorale che si festeggia spesso nelle comunità montane in diversi paesi europei.
Essendo su Bundhu una figura antropobovina simboleggia con il bue, da una parte la forza animalesca, selvaggia e fecondatrice della natura e dall’altra la razionalità dell’essere umano custode della conoscenza che veicola e offre alla madre terra per propiziarsi la sua benevolenza e la prosperità.
La figura del bue d’altro canto incarna e rappresenta la cultura agropastorale con la sua forza e mansuetudine, facilmente addomesticabile era fondamentale come aiuto nella coltivazione della terra e nel trasporto di beni come animale da traino.
Le credenze popolari sono discordanti, identificando Su Bundu a volte con il male, quando si pensava che volesse intimorire gli uomini, altre volte con il bene, identificandolo con un dio del vento che aiutava i contadini a separare il grano dalla crusca.
La tradizione popolare narra la storia di un coraggioso contadino il quale, durante una notte tempestosa, travestito da Bundhu convinse gli spiriti inquieti a rispettare la gente e il proprio raccolto.
Il Signor Italo Chironi di Orani racconta di come la maschera originale sia stata trovata dal professor Marchi, studioso di tradizioni sarde, nella casa della famiglia nobile di origine corsa Semidei ed in seguito portata dal professore a Nuoro, ad oggi si trova presso il Museo Etnografico Sardo di Nuoro.
Non si conoscerebbe la motivazione della presenza di questa maschera presso la famiglia Semidei, né il significato originario, il signor Chironi suppone possa esser stata utilizzata in occasione di feste licenziose private di natura rituale, visto il potere e il tenore di vita benestante della famiglia e crede possa trattarsi di una rappresentazione del diavolo o di un demone.
Il signor Peppino Zichi, maestro intagliatore e fondatore del gruppo folcloristico Sos Bundhos, racconta un aneddoto di quando era bambino sostenendo di aver visto di persona Su Bundhu mentre giocava con altri bambini per strada ad Orani e di aver sentito il rumore della catena strisciare per strada e i versi lamentosi e gutturali del personaggio.
Secondo Zichi la maschera di Su Bundhu rappresenterebbe una figura arcaica simboleggiante un indemoniato che si trasforma in un essere per metà bue e per metà uomo.
Anche il signor Zichi racconta che la maschera, sia stata trovata dal professor Marchi, studioso di tradizioni popolari sarde, presso la dimora della famiglia Semidei e che da lì sarebbe stata portata a Nuoro.
In seguito verso gli anni Settanta del Novecento sarebbe stata riportata ad Orani e ne sarebbe stata curata una ricostruzione del costume della maschera grazie alla Proloco con la collaborazione di vari artisti che portò l’aggiunta alla maschera di alcuni elementi come il mantello in orbace, la catena usata per limitare i movimenti dei buoi e il tridente in legno, utensile legato alla vita agricola.
Condizione giuridica e vincoli
Proprietà privata della famiglia Mureddu
Fonti e documentazione di riferimento
Fonti bibliografiche Poesia di un frate gesuita - 1772;
Pubblicazione nella rivista il Ponte - 1951;
Scritto di Don Raimondo Bonu – 1955.
Fonte orale: Italo Chironi e Peppino Zichi
Pubblicazione nella rivista il Ponte - 1951;
Scritto di Don Raimondo Bonu – 1955.
Fonte orale: Italo Chironi e Peppino Zichi
Ente schedatore
Autore della scheda
Luca Mureddu
Data
11-05-2022
Creatore
Margaret Cogoni
Data di creazione
20-06-2022
Pagine del sito
Maschera di Su Bundhu Su Bundu Sa Corte de Sos Bundhos Sa Corte de Sos Bundhos Sa Corte de Sos Bundhos Costume di Su Bundhu Costume di Su Bundhu Particolare della catena Ziu Peppinu Zichi fondatore del gruppo folcloristico di Sos Bundhos di Orani Maschere di Su Bundhu Maschere di Su Bundhu Pittura Murales della maschera di Su Bundhu
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