Il filo del Bisso
a cura di Ilaria Todde
Il bisso è un filo che viene raccolto fin dall’antichità. Un filo carico di storia e di emozioni. In punta di piedi ho provato a prenderlo tra le mani per seguirlo.
Senza far troppo rumore, cercando di ascoltare la sua storia, che si agita nel labirinto del tempo.
In questa storia bisogna muoversi con pazienza, perché le fonti scritte sono poche. Il bisso si ricava da filamenti prodotti dalla Pinna Nobilis, detta anche nacchera, il più grande bivalve del Mediterraneo.
I filamenti generati dalla nacchera vengono emessi in forma semifluida e si induriscono al contatto con l’acqua di mare.
La fibra serve alla Pinna Nobilis per ancorarsi in maniera salda al fondale. Dal 1992 la legge vieta la raccolta della nacchera e così anche la vendita del bisso.
La richiesta però è grande, perché questo prodotto del mare è forte, resistente e nobile e viene spesso paragonato alla seta.
Questa somiglianza mi ha portato dalle sorelle Assuntina e Giuseppina Pes, che mi hanno permesso di entrare a casa loro, raccontandomi la loro esperienza con il bisso e con l’arte del tessere a telaio. Storie cariche di emozioni.
Hanno iniziato raccontandomi di Italo Diana, uno dei primi maestri di bisso che, a Sant’Antioco, ha aperto una scuola di tessitura. Mi hanno poi raccontato come Emma Diana, la figlia di Italo Diana, notò i loro arazzi un giorno durante una mostra estiva organizzata dalla proloco di Sant’Antioco.
Le sorelle Pes sono nel mondo della tessitura da quaranta anni e tutt’oggi raccontano con umiltà e stupore la storia di Emma. Il filo del bisso fa sì che un giorno, Emma, si mette in contatto con loro e nasce un rapporto di amicizia.
Un legame che permette alle sorelle Pes di chiedere un po’ di bisso per poter finire una tovaglia. Un rapporto che col tempo diventa sempre più forte a tal punto che la signora Emma le definisce della famiglia.
Un filo che scorre nel tempo grazie anche alle sorelle Pes che portano avanti la loro tradizione del bisso. Due sorelle che ormai per lavorare a telaio non hanno più bisogno di parlare e darsi indicazioni perché si percepisco.
Riescono a lavorare in sincronia, come un’orchestra. Vedere questo filo di bisso che viene intrecciato è qualcosa fuori dal tempo. Mi hanno anche raccontato di come il bisso possa essere trattato con il succo di limone.
Questo processo è utile per creare delle sfumature e dare profondità al pezzo di stoffa che viene creato. Il loro bisso è centenario e resiste nel tempo. Loro lo rigenerano bagnandolo nell’acqua. Alla fine della nostra chiacchierata mi hanno fatto provare il loro telaio. Una struttura grande quasi quanto una stanza, pieno di nodi e di fili.
Seduta lì davanti mi sembra di entrare dentro una bolla, isolata dal caos che si sente fuori dalla stanza. Faccio passare l’ago sotto i fili di tela e poi batto con il pettine una, due e tre volte. Ci vuole forza per fissare il punto. E nel mentre che ripeto questa operazione mi sorge un dubbio: ma il bisso si può lavorare solo al telaio?
Esco dalla loro casa con più dubbi di prima e mi dirigo al Museo Etnografico.
Arrivata al Museo incontro Patrizia Zara che mi racconta la storia di suo nonno pescatore di Pinna Nobilis alla ricerca di due perle uguali per l’anello di quella che poi è diventata sua moglie. Mi parla anche della nonna di come lei ricamava con il filo in bisso.
Mi mostra i lavori che venivano fatti in passato, l’arazzo che era stato fatto per Mussolini da parte di Italo Diana realizzato con l’aiuto di Assunta Cabras. E in fine mi mostra una cravatta realizzata totalmente in bisso. La particolarità di questo indumento sta proprio nel fatto che viene realizzato con una sezione tubolare con tre ferri, un pò come si lavoravano un tempo le calze.
Grazie a lei ora so che il filo del bisso può essere usato per ricamare, “fare a maglia”, impreziosire arazzi e tessuto a telaio.
Giunta quasi alla fine della mia ricerca ho notato che tutte le informazioni più importanti si tramandano in via orale, come le storie di una nonna davanti al caminetto in una sera d’inverno.
Sono tutte storie che riguardano il passato e ora la domanda che mi pongo è se quest’arte viene portata avanti anche dalle nuove generazioni.
Questa volta per trovare una risposta alla mia domanda mi aiuta una cara amica: Alice Deledda.
Con lei ci dirigiamo in piazza San Francesco alla manifestazione Crani e Ricamu. Una rappresentazione simbolica nella quale l’artista Armenia Panfolklorica restituisce il bisso al mare.
Siamo giunti al termine di questa storia e una volta fuori dal labirinto mi sono accorta che il filo del bisso non si ferma.
Un filo che resterà per molti anni ancora, come il mare che prima sia allunga e poi si ritira sulla riva.