Di uomini e sale

a cura di Elisa Cauli

Un’immensa distesa di bianco. Tutto qui. Questa era la mia concezione di salina.

Anzi, vi dirò di più. Forse in virtù dei miei studi sul mondo classico, il sale mi è sempre stato un po’ antipatico. Ricordo la leggenda secondo la quale i romani, all’indomani della vittoria delle guerre puniche nel 146 a.C., distrussero Cartagine e su di essa sparsero il sale, in modo da renderla sterile per sempre e decretare l’impossibilità di una sua ricostruzione.

Si pensi anche alla sua dolorosa accezione economica: “questo è un conto molto salato!” o a modi di dire come: “chi fa male, guadagna un carro di sale, e chi fa bene guadagna un carro di fieno”. Poi è anche causa di ritenzione idrica, insomma una tragedia.

Per farla breve: quando al LUDiCa mi venne assegnato come oggetto di studio la Salina di Sant’Antioco, la mia prima reazione fu quella di storcere il naso. Dalle prime ricerche sul web emerge che la Salina di Sant’Antioco sia una struttura piuttosto recente, i cui lavori di inaugurazione risalgono al 1962. Fine.

Ve lo dico con tutta onestà, ero davvero molto scoraggiata all’idea di trovare fonti documentarie così recenti, risalenti al massimo agli anni ‘60 del Novecento. Però ormai ci siamo, e le carte in tavola non si cambiano: qualcosa si dovrà pur trovare.

“È impossibile che non ci siano informazioni su una salina precedente al 1962”, queste le parole del prof. Salice. Ragioniamo sul fatto che il sale sia uno dei più importanti mezzi di conservazione alimentare usato fin dall’antichità e che per questo è considerato una merce preziosa. Lo stesso termine salario deriva appunto da sale, quindi comunque parliamo di un elemento che custodisce un grande valore economico. Non è possibile che Sant’Antioco non abbia avuto una salina prima del ‘62.

Non mi perdo d’animo: cerco informazioni tra le fonti d’archivio provenienti dall’Archivio di Stato di Cagliari che abbiamo a disposizione e in effetti trovo della documentazione sulle saline sì, ma di Calasetta.

Poi il giorno 26 giugno arriva nella nostra base-studio dell’ex Montegranatico Marco Massa, il direttore dell’Archivio storico comunale di Sant’Antioco, per mostrarci del materiale utile alla nostra ricerca. Tra le bellissime foto in bianco e nero che rappresentano uomini e donne di un passato ormai remoto, a un certo punto sbuca una copia del 1926 di un’antica mappa posseduta dal nobile don Orazio Sanjust di Teulada (vissuto acavallo tra il XIX e XX secolo), rappresentante l’arresto da parte dei miliziani sardi dell’avanzata francese sul ponte di Santa Caterina, avvenuto il 17 gennaio 1793. Tra il disegno delle barche, degli accampamenti e degli omini stilizzati, spunta qualcosa di interessante: un elemento che somiglia a un rettangolo suddiviso a sua volta in una serie di quadrati più piccoli; la dicitura nella legenda segnava “Regie Saline”.

Eccolo qui, un primo aggancio in questo deserto di sale.

Divieto di raccolta del sale delle Saline Is Animasa

Con l’aiuto del dott. Marco Massa trovo in Archivio due documenti: il primo è relativo all’acquisto dal Demanio, da parte del Comune di Sant’Antioco, della salina “Su Cadelanu”, avvenuto tra il 1899 e il 1901; il secondo è una notifica ingiunta al Comune di Sant’Antioco da parte dei Comuni di Palmas Suergiu e Tratalias, che uniti si schierano per vietare agli antiochensi l’estrazione del sale nella salina detta “Is Animasa”. Quindi si passa alle fotografie del 1962.

All’inizio si vede la fatica di uomini al lavoro su argini scoscesi, poi l’apertura di canali che serviranno per l’alimentazione dei bacini, profondi e squadrati solchi nella terra. Poi qualcosa cambia nello scenario, ed ecco che appaiono i primi calmi specchi d’acqua che tagliano montagne bianchissime; poi lavoratori su piccoli ponti che osservano attenti i bacini adesso colmi d’acqua. Questo è tutto ciò che è presente in Archivio comunale sulla salina in questione.

Per la prima volta mi capita di pensare che forse la salina non è un luogo poi così sterile.

Atto di acquisto delle Saline di Su Cadelanu

Intervista a Giuseppe Mura

 

27/06/23 ore 17.00. La nostra collega Anna Carla Mariani organizza un’intervista con Giuseppe Mura, ex saliniere. Lo intervisterò con Giulia Pisu e Irene Coni, etno-musicologhe. Rompiamo il ghiaccio bevendo un ottimo bicchiere di acqua calda. Ovviamente l’attrezzatura non funziona, ma alla fine ci arrangiamo. Presento brevemente il nostro progetto e si parte subitocon l’intervista. 

“Mi parli della salina di Sant’Antioco.”

Il signor Mura ci tiene a precisare che passa il concorso pubblico da saliniere, classificandosi in prima posizione. Entra in salina a 22 anni e lì ci resta fino alla pensione. Passa dall’essere semplice operaio a diventare direttore della produzione della salina, dipendente direttamente dal direttore generale. In un mondo ormai così fluido pensare a questa staticità mi sembra quasi claustrofobico, e per questo voglio saperne di più. Perché sig. Mura passa più di 30 anni della sua vita in un deserto di sale?

Il discorso si addensa di tecnicismi. Inizia a delinearsi un lavoro molto complesso fatto dell’amministrazione sapiente dell’acqua salata e delle sue qualità. Soltanto un giusto quantitativo di liquido nei bacini permette la formazione del sale. Con troppa acqua non riusciamo ad ottenere il prodotto e neanche con troppo poca, ma i dettagli li lascio agli esperti.

Ai fini di questo studio non è importante conoscere per filo e per segno il lavoro del saliniere (fatto di manutenzioni continue, cristalli di sale da disciplinare, poche ferie). Per me è di primaria importanza capire il rapporto di signor Mura con il poco mare che deve amministrare e dosare in maniera estremamente sapiente.

E quindi la domanda cardine è: “Signor Mura, ma a lei cosa piaceva di più, del lavoro in salina?”.

Signor Mura chiude gli occhi, sospira e dice: “Tutto”.

"Di mattina presto, quando arrivavo lì, l’alba. Gli odori delle erbe e quelli della salina. Il paesaggio, i fiori, gli uccelli. Le scene che ho visto lì al tramonto e all’alba tu neanche te le immagini. Il bianco del sale e il rosso dei bacini di essiccazione, l’artemisia e i fenicotteri rosa. Redigere il resoconto della produzione del sale tenendo conto del bollettino meteorologico, delle piogge, dell’umidità e del caldo afoso, dei venti. La mia famiglia in salina, io in ufficio e loro passeggiavano e giocavano tra bacini.

Mentre parla, sig. Mura guarda fuori dalla finestra. Perché da lì si vede non solo la salina, ma anche la pompa idrovora, cuore pulsante di tutto il sistema. Mi pare superfluo sottolineare che ancora oggi vada lì a passare parte del suo preziosissimo tempo libero".

Alla fine di questa intervista mi sono resa conto di avere in pugno il punto della questione.

Perchè questa ricerca, fortunatamente, non si è limitata ai pochi documenti ritrovati in archivio.

È un racconto di uomini e sale. Anzi, no, mi correggo: di uomini e acqua. No, mi correggo ancora, perché non è un’acqua qualsiasi.

Questa è una storia di uomini che scendono a patti con il mare. Che ricreano un’ecologia e un ecosistema preciso e delicatissimo per ottenere dalla perfetta dose di acqua, di sole e di nuvole, il giusto quantitativo di sale.

Poi che serva per essere mischiato ad altri minerali per ottenere la soda, per scopi alimentari o per radere al suolo Cartagine, poco importa.  

Bibliografia

V. Porrà, V. Tiana, Le saline di Sant’Antioco. Cronaca di un viaggio virtuale, Centro di documentazione multimediale sulle zone umide della Sardegna, Parte I, Cagliari, 2001