Il santo conteso
a cura di Rachele Chiappe
La devozione che accompagna la festa di Sant’Antioco martire - detto Sulcitano - può dirsi ancora viva al giorno d’oggi?
A giudicare dalla folla che ogni anno si assiepa lungo le vie della città che porta il nome del santo, si potrebbe affermare con certezza che è un culto particolarmente sentito dalla popolazione locale, ma non solo.
Quando si indaga sul sentire delle persone, si scopre che questa figura è un ricettacolo che accoglie i fedeli in preghiera, ma anche – e soprattutto – persone che provano emozioni profonde e che si commuovono per il senso di unione che porta tra comunità vicine e lontane, non solo geograficamente parlando.
È il caso della comunità iglesiente, il cui passato è intrecciato a doppio filo con quella antiochense: furasantus - i “ruba-santi” – soprannome con cui le comunità si apostrofano vicendevolmente, quando interrogate l’una in merito all’altra. Potrebbe far sorridere il fatto che entrambe le comunità si appellino alla stessa maniera, ma questo uso nasce da un fatto storicamente documentato: il tutto può essere fatto risalire al rinvenimento delle spoglie del santo presso le coste dell’isola omonima, documentato in un verbale di ritrovamento datato al 29 aprile 1615.
I resti vennero ritrovati all’interno di un «sarcofago avvolto di velluto cremisi»; in seguito, per proteggerli dalle incursioni barbaresche, essi vennero conservati nella città di Iglesias, la cui comunità religiosa era sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari. Una decisione che nel corso del tempo, aveva portato ad una serie di dissapori tra la comunità iglesiente e quella antiochense. E lì rimasero fino al 1851: durante la processione che proveniva da Iglesias, quando il corteo era ormai in prossimità del santuario «una folla di antiochensi lo assalta e si impossessa con la forza delle reliquie del martire Antioco».
Iglesias a lungo tentò di recuperare il reliquiario, ma invano: la sentenza del 1852 riconosce a Sant’Antioco la legittima possessione delle reliquie, che viene confermata anche nei successivi verdetti.
Di questo conflitto si narra ancora oggi, ma esso ha ormai perso i toni accesi che probabilmente infiammavano gli animi delle persone che avevano vissuto questa vittoria – o sconfitta, a seconda di chi veniva interrogato -, per prendere tonalità più sfumate.
Alcuni, addirittura, non sanno più nemmeno il motivo per cui è stato dato il soprannome di furasantus dall’una e dall’altra parte.
Ciò che rimane nelle memorie delle persone, è altro: un’emozione che gonfia il cuore al passaggio della statua; una devozione religiosa o laica tale da indossare abiti che madri, nonne, bisnonne hanno indossato; una sensazione di unione e comunione con tutti coloro che – in un modo o in un altro – partecipano ad una festa, più che ad una funzione religiosa.
Proprio intorno ai costumi si costruisce un grande narrazione identitaria: nei racconti emersi dalle interviste si parla di zoccoli fatti su misura per bambini; di gioielli vecchi e nuovi e della loro conservazione, del loro valore più affettivo che monetario, ma non solo.
Osservando i veli bianchi fitti di ricami antichi che si indossano con l’abito locale – chiamati is muncarois de ciugu o de biancu– che venivano ricamati da mani sapienti, si può notare come un patrimonio così immenso stia pian piano scomparendo.
Tra le voci sentite in questo viaggio per la comunità dell’isola, c’è chi ancora sa ricamare queste piccole opere d’arte su tessuto: che sia un quadro a telaio, un muncaroi dalle trame particolarmente rifinite, queste conoscenze stanno, tuttavia, scomparendo in favore di una sempre maggiore standardizzazione di costume.
“Figuranti con un rosario in mano”: una definizione che potrebbe essere rappresentativa del sentire di chi, al di fuori della devozione religiosa, percepisce la propria identità annegare in una uniformità estraniante.
Ma nonostante questi sentimenti contrastanti, ciò che prevale su tutto è lo sguardo del santo che, come faro in mare di tempesta, diventa punto focale per comunità eterogenee che – per un momento di festa come questo – riescono a fondersi in una.
Riferimenti bibliografici essenziali:
- G. Salice, Spazi sacri e fondazioni urbane nel Mediterraneo delle diaspore. Il caso di Sant’Antioco, in Storia urbana n. 159, FrancoAngeli editore, 2018
Riferimenti archivistici:
ASCI, I Sezione, b. 100