di Giampaolo Salice
Nell’estate del 1749 i ministri di giustizia di Sennori, villaggio della regione storica di Romangia, in Sardegna, chiesero al Reggente la Real Cancelleria sarda di confermare il loro diritto a stare seduti durante la messa.
In una parrocchiale priva di posti a sedere, il barone disponeva infatti di una panca sistemata al centro della chiesa, di fronte al pulpito, con lo schienale rivolto alla cappella di San Gavino.
In assenza del feudatario i suoi agenti dovevano prendervi posto, mentre i compaesani stavano in piedi per l’intera durata delle funzioni religiose.
La panca era insomma il simbolo di una gerarchia sociale, della supremazia del feudatario sui suoi vassalli. Tuttavia, da qualche tempo, questo privilegio veniva contestato. In diverse occasioni i vassalli avevano preteso di prendere posto nella panca, scacciando gli agenti baronali.
Più e più volte i parroci erano stati costretti ad allontanare chi vi si era seduto senza averne titolo.
La “guerra delle sedie” impegnò negli stessi anni anche il marchese di Mores, costretto a difendere il privilegio di seduta nelle sue parrocchie. Vertenze simili si erano accese anche a Cagliari nel 1680, a Santa Maria Navarrese nel 1683, a Orani nel 1687, poi a Neoneli 1778.
Tutti, anche in ambiente rurale, capivano perfettamente il significato politico di quel diritto alla seduta. Sedersi al posto del feudatario era un atto sovversivo. Rompendo un protocollo si contestava il potere che da esso traeva legittimazione; si affrontava sul terreno simbolico una questione divenuta nodale in un mondo scosso da profondi cambiamenti interni: la questione feudale.
Simili sentimenti sarebbero esplosi clamorosamente nei decenni a seguire, non a caso anche a Sennori, tra i villaggi protagonisti dei moti anti-feudali di fine Settecento.
Questi episodi, apparentemente marginali, aiutano lo storico a cogliere meglio il senso di un tempo trascorso. Ma possono aiutare tutti a comprendere un po’ meglio anche il mondo nel quale viviamo.
Oggi ha fatto scalpore l’affronto – in tema di sedie e sedute – delle massime autorità turche nei confronti della Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen.
Mentre era in corso una cerimonia ufficiale ad Ankara, a Von Der Leyen è stata negata la possibilità di sedere su una sedia della stessa importanza di quelle occupate dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
Secondo i commentatori quanto avvenuto oggi assume diversi significati: un affronto della Turchia nei confronti dell’Unione Europea, con cui i rapporti sono da tempo tesi; un comportamento discriminatorio verso una donna da parte di un ambiente di governo autoritario e patriarcale.
Ancora nella diplomazia globalizzata di oggi, come nella piccola Sennori sarda del Settecento, l’essere lasciati in piedi o avere il diritto a stare seduti sono gesti carichi di eccezionale valenza politica.