Un carcere feudale e la Public History

A cura di Veronica Medda

Il carcere baronale

Vado per vedere un paese,
ma alla fine è il paese che mi vede,
mi dice qualcosa di me, che nessuno sa dirmi.

[F. Arminio]

Il carcere mandamentale in rovina

Geneaologia del Marchesato di Orani

Costruzione del campanile di Sant'Andrea

Un vassallo per Orani

Causa civile tra due abitanti di Orani

Carte del Marchesato di Orani

Contratto matrimoniale della Marchesina di Orani

Il contesto

Nel cuore della Barbagia, a cinquecento metri sul livello del mare, sorge Orani. Qui hanno mosso i loro primi passi artisti e scrittori di fama internazionale, come Costantino Nivola, protetti dal materno abbraccio del monte Gonare, dove svetta la chiesa più ‘alta’ dell’isola, decantata quale meta di pellegrinaggio dal premio Nobel Grazia Deledda nel romanzo Le vie del male. Al nostro arrivo, in una tiepida sera di inizio estate, ci accoglie un paese che si prepara alla festa: un susseguirsi di rituali anticipano la processione di Corpus Domini, che si svolge lungo le strade del centro storico, accompagnata da un corteo di oranesi.

Fin da subito è stato chiaro che si trattava di un luogo ideale per un’esperienza di storia pubblica: il paese sembra essere ad oggi, nell’epoca del postmoderno, l’unico luogo possibile in materia di vissuto e di vivibile, quella che Vito Teti definisce brillantemente nel suo contributo La restanza, “dimensione che non deve sottendere una restaurazione di mondi perduti, ma mira piuttosto a ridisegnare i modi di organizzare spazi, economie, relazioni dell’abitare”.

A noi – in quanto umanisti – in questi luoghi è concessa la grande opportunità di riscoprire un nuovo tipo di umanità: persone e gruppi che fanno scelte alternative, in controtendenza, popolano, in forme nuove, i luoghi stabilendo nuove relazioni e significati, nell’affermazione del proprio diritto alla memoria.

È anche in questo senso che possiamo spiegarci il ruolo del museo Nivola, nostra base operativa per la settimana di Campo estivo, polo attrattivo e forza centripeta del paese barbaricino che, svolgendo un ruolo sociale di rilievo nella comunità, ne rappresenta ormai un luogo identitario e di incontro.

Per tale ragione, infatti, il museo stesso può essere assunto come metafora degli intenti che il progetto del LUDiCa si propone: grazie al prezioso supporto delle istituzioni, infrastruttura culturale e attraverso la raccolta delle fonti più diverse sul patrimonio culturale materiale e immateriale, è possibile dare vita a una proficua relazione tra istituzioni e cittadini per conoscerne e scoprirne insieme il territorio. Il gruppo di ricerca di cui ho fatto parte nel corso del laboratorio si è posto come obiettivo fondamentale la ricostruzione della storia del Marchesato di Orani.

Il viaggio tra gli “spazi feudali” della comunità è partito dai metodi ‘tradizionali’ degli studi storici e dalle carte d’archivio, per poi aprirsi al dialogo e alla ricerca delle fonti materiali e immateriali in loco e giungere infine agli esiti digitali. Nella prima fase del lavoro ci siamo dedicati alla stesura di una bibliografia di riferimento, servendosi di Zotero, software per la gestione dei riferimenti bibliografici, che ci ha permesso di riordinare, schedare e metadatare tutti i materiali correlati al nostro specifico argomento di studio.

Successivamente, nel corso delle due giornate passate all’Archivio di Stato di Cagliari, siamo riusciti a reperire una serie di dati fondamentali sul territorio oranese, che hanno poi costituito le basi storiche della nostra ricerca sulle vicende del Marchesato. Il nostro viaggio reale fino al cuore della Barbagia è stato preceduto da una esplorazione fatta virtualmente tra le carte geografiche del De Candia.

Il valore aggiunto del gruppo è stato, senza dubbio, l’unione di competenze eterogenee che spaziavano dalla storia medievale, all’archivistica fino alla filologia; tutto ciò ha dato vita ad una riuscita cooperazione tra studiosi di ambiti differenti ma, proprio per tale ragione, in grado di imprimere alla ricerca un approccio multidisciplinare, così come richiede una buona pratica di storia pubblica. In quest’ottica, per familiarizzare con la vita del paese ci sono stati di prezioso aiuto gli strumenti digitali, in particolare il programma Omeka-S che ci ha permesso di descrivere e geo-localizzare i luoghi che la comunità segnala in quanto rappresentativi della propria storia.

In questa fase, per la creazione di collezioni, archivi digitali ed esposizioni online, non è stato sempre semplice trovare un equilibrio tra il più articolato insieme di fonti pubbliche e private e cogliere la sequenza di eventi e di accadimenti narrati dalla comunità.

La storia pubblica può rendere concreta la possibilità di vivere gli archivi e le altre fonti utili a costruire la storia di una comunità come processi  “partecipati” e “partecipativi”, cioè luoghi pensati in modo interdisciplinare, offrendo inoltre occasione ai luoghi della memoria di parlare di sé, delle genti che li hanno abitati e che ancora li abitano e li vivificano.

Dimostrazione del potere della public history è stato, a mio parere, l’evento conclusivo del laboratorio, tenutosi il 25 giugno nel suggestivo cortile del Museo Nivola.

Per l’occasione, lo spazio ormai a noi familiare si è trasformato in un emozionante palcoscenico, in cui restituire ai legittimi proprietari le storie, i luoghi e talvolta i personaggi che in questo percorso ci avevano fatto compagnia e ci avevano appassionato.

I volti interessati, i timidi sorrisi e i sinceri complimenti ricevuti sono stati, in virtù dell’impegno profuso, la ricompensa migliore che potessimo ricevere e, personalmente, un regalo di compleanno che conserverò gelosamente tra i ricordi più belli.

La corte di Giustizia di Orani

Tornando allo specifico caso di studio da me preso in esame, mi sono concentrata sullo studio della Corte di giustizia feudale e, in particolare, sul carcere baronale di Orani, partendo dall'analisi di alcuni documenti trovati nell’Archivio di Stato di Cagliari.

Il documento decisivo, conservato nel fondo della Segreteria di Stato, ci ha svelato la richiesta, datata 20 giugno 1846, fatta dal locandiere Antonio Mele e indirizzata al viceré, per l’abbattimento delle mura del carcere che versava «in stato rovinoso per il cui oggetto resta deturpato l’aspetto pubblico del paese giacché trovasi situato nella principale strada», al fine dell’ampliamento della propria attività commerciale.

L’istanza del cittadino oranese sembrerebbe essere stata accolta, come apprendiamo dalla lettura diretta del documento:

è per altro certo che il ricorrente Antonio Mele tiene un palazzotto che ha destinato per osteria, vicino a quell’edificio. Come è certo che venendoli conceduti l’aria di esso avrebbe spazio sufficiente a migliorare la condizione della sua locanda da cui ne risulterebbe anche migliorato l’aspetto pubblico. Pertanto mi sembra conveniente di venir ceduto al Mele l’edificio in discorso, a giusto estimo valutandolo nello stato in cui trovarsi

Quando ci siamo trasferiti ad Orani le note di quel documento hanno acquistato un senso inatteso. Col supporto della tradizione orale della comunità, abbiamo compreso che lo spazio dell'antica corte feudale di Orani, dove insisteva il carcere oggi scomparso, coincide con l’attuale Piazza Mazzini.

È stata soprattutto grazie alla disponibilità di un cittadino, il signor C. Demontis, e al sopralluogo effettuato col Professor Marcello Schirru, che abbiamo inoltre potuto individuare quella che con tutta probabilità fu la sede del carcere baronale, corrispondente oggi alla cantina di casa Siotto-Demontis, nella quale sono visibili i resti di una struttura risalente al XVII secolo.

Le ricerche svolte nel corso del LUDiCa hanno dimostrato come la collaborazione sinergica tra specialistici, comunità e istituzioni sia un ingrediente fondamentale per la buona riuscita del progetto, insieme alla pluralità di competenze e di percorsi professionali di docenti e studenti coinvolti. Il lavoro di équipe è stato decisivo per aprire alla relazione con nuovi luoghi e soggetti e all’utilizzo di nuove fonti. Il tutto nell'ottica di rendere fruibili i risultati finali che rimangono – per così dire – in eredità alla comunità come traccia collettiva “in digitale” del laboratorio.

Il ruolo della Public History

La storia pubblica può rendere concreta la possibilità di vivere gli archivi e le altre fonti utili a costruire la storia di una comunità come processi  “partecipati” e “partecipativi”, offrendo inoltre occasione ai luoghi della memoria di parlare di sé, delle genti che li hanno abitati e che ancora li abitano e li vivificano.

Come abbiamo visto al LUDiCa, nell’era digitale, la public history non è destinata ai classici luoghi della divulgazione storica, ma si serve di uno spettro sempre più ampio di spazi reali ed elettronici. Intercetta così un nuovo spazio pubblico, nato dall’impatto dei social network, che è sempre più ricco di storie che fanno la Storia: è necessario interrogarsi sulla dimensione di questo racconto e sul potere delle narrazioni sulla costruzione della memoria pubblica.

In esperienze di public history come quella del LUDiCa, fortunatamente sempre più frequenti anche nelle altre università d’Italia, lo studioso di storia entra nell’arena pubblica, sia virtuale che reale, trovandosi a volte anche a dover gestire delicate situazioni in cui la memoria collettiva risulta frammentata e divisa.

Per fare un lavoro preciso e scientificamente valido bisogna porsi, dunque, come mediatori all’interno della società civile, con l’ambizioso obiettivo di produrre delle storie che tengano conto delle differenze, dei diversi sensi di appartenenza. Occorre cioè lavorare per una Storia «in contatto diretto con l’evoluzione della mentalità e del senso delle appartenenze collettive delle diverse comunità che convivono all’interno dello spazio nazionale e nel villaggio globale e valorizzare lo studio delle loro identità».

La storia pubblica è in questo senso un potente strumento per conoscere il passato, che consente anche alle comunità di meglio comprendere il loro ruolo nella società, aiutando allo sviluppa di un approccio civile alla storia.

Come scrisse Johan Huizinga, la storia è la scienza che più di tutte tiene aperta la porta al grande pubblico, contribuendo a trasformare il racconto storico in termini di costruzione condivisa del passato e di coscienza collettiva del presente attraverso la ri-costruzione di un nuovo patrimonio di conoscenze, talvolta riscoperte e altre volte del tutto inedite.

Bibliografia

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