Arrivi e partenze. Carloforte e il Nordafrica
A cura di Daniela Di Mauro
«Come si dice arcobaleno?». E' questa la domanda che Tonio fa ai bambini per vedere se sanno il tabarchino. «Ercunsè, si dice. Come in francese, arc en ciel». E poi aggiunge, in tono un po’ sibillino: «I francesi c’entrano sempre con Carloforte».
Per lui il francese era la lingua che usavano i nonni quando discutevano di cose importanti. «Poi sono passati all’arabo quando si sono accorti che il francese lo capivamo anche noi». I nonni e il padre di Tonio sono nati a Tunisi, come tanti genitori, nonni e zii di Carlofortini. Per lui l’oggetto che più rappresenta la storia della sua famiglia è una statuetta che rappresenta un caimano, uno dei pochi oggetti portati in Italia dai suoi nonni nella rocambolesca partenza dalla Tunisia nel 1943, quando i francesi espulsero gran parte degli italiani dalla colonia. Il caimano è un po’ sbiadito perché ad ogni compravendita o accordo importante, i due contraenti poggiavano le mani sul dorso dell’animale in segno di fiducia reciproca.
Il collegamento dei tabarchini col Nord Africa passa anche da qui, da donne e uomini che, in una storia più recente di quella del popolamento dell’isola tunisina base dei Lomellini di Genova, sono andati a vivere a Tunisi, a Biserta, a La Galite o a Bona, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Ma se tutti i Carlofortini conoscono la storia dei pegliesi che negli anni Quaranta del Cinquecento si insediarono a Tabarca per poi andare a popolare l’isola del Sulcis nel 1738, pochi di loro parlano della presenza dei propri avi nel Nord Africa del Ventesimo Secolo.
La storia delle famiglie che da Pegli si stanziarono a Tabarca per pescare il corallo e, dopo quasi duecento anni, andarono a popolare tra mille difficoltà l’ “Isola degli Sparvieri” nel sud della Sardegna, è una storia della quale, come dice uno dei nostri testimoni “ognuno vuole far parte” . É la storia di Liliana che con orgoglio racconta che la sua famiglia è “proprio originaria di Tabarca”, e prima di morire vorrebbe andare lì, a vedere l’isola dei suoi avi.
A dire il vero, lo stesso “mito fondativo” di Carloforte non ci parla di un’identità univoca, ma, piuttosto, di appartenenze multiple, riflesso di scambi e contaminazioni che vedevano Tabarca al centro di una rete mediterranea di commerci.
Rete che, pur essendosi in parte sfilacciata con la diaspora a Carloforte, non si è mai del tutto spezzata. I tabarchini, poi carlofortini, come ci raccontano i nostri testimoni, non hanno mai perso il contatto col Nord Africa, in un lungo e continuo viaggio di andata e ritorno che, assieme alle merci, ha fatto viaggiare tra le sponde del Mediteraneo persone e memorie per gran parte del Novecento.
Ce lo racconta non solo Tonio, ma anche Mario, che ci parla con orgoglio dei genitori che commerciavano formaggi a Bona, in Algeria, e che gli hanno trasmesso la curiosità di vedere il mondo.
Ce lo racconta Pier, in un’intervista dove la trama multicolore della società carlofortina si dipana con le sue parole. Nella storia della sua famiglia c’è, infatti, Biserta ma c’è anche Ponza, isola di provenienza di una delle comunità che hanno popolato Carloforte a partire dalla fine dell’Ottocento; c’è il mestiere di navigante del nonno, che ha spinto il figlio ad aprire il ristorante “Primo Maggio” per non doversi allontanare dalla famiglia per mesi come faceva suo padre. C’è il cascà, piatto di origine tabarchina che dà anche il nome al recipiente in terracotta posseduto da tempo immemorabile dalla sua famiglia.
Queste storie sicuramente ci parlano di tracce, memorie e rotte che legano Carloforte al Nordafrica. Ma, come in un laboratorio, contengono elementi complessi e “infiammabili” che lasciano aperte molte domande. Perché molti carlofortini non parlano volentieri dei contatti col Nordafrica? Forse preferiscono assecondare l’identità ligure che piace tanto ai turisti o forse le turbolenze della storia hanno creato dei traumi non pienamente elaborati?
Forse lasciando Carloforte ci porteremo dietro più domande che risposte, insieme a quella voglia di tornare nell’isola che ti prende seguendo con lo sguardo le facciate colorate di U Paise allontanarsi sul mare.
Bibliografia.
Del Piano, Lorenzo. Documenti sulla emigrazione sarda in Algeria nel 1843-48. Sassari: Gallizzi, 1962.
Pomata, Fabio. Una lunga storia mediterranea: Tabarca : la complessità del moderno nella nascita di Carloforte e Calasetta. De ortibus et occasibus. Roma: Efesto, 2022.
Salice, Giampaolo. «L’invenzione della frontiera. Isole, Stato e colonizzazione nel Mediterraneo del Settecento». AMMENTU - Bollettino Storico, Archivistico e Consolare del Mediterraneo (ABSAC), fasc. 2