La giornata dell’impero: nascita, scomparsa e rimozione di una festa nazionale


di Valeria Deplano

Tra tutti gli eventi che si addensano attorno alla data del 9 maggio solo uno fu celebrato in Italia con l’istituzione di una festa nazionale. Eppure si tratta anche, probabilmente, dell’evento e della celebrazione che meno hanno lasciato segni nella memoria collettiva degli italiani del XXI secolo.

Il 9 maggio del 1936 Benito Mussolini comunicava a una piazza Venezia gremita di persone la nascita dell’impero italiano. Quattro giorni prima l’esercito era entrato ad Addis Abeba, dando modo al governo di dichiarare conclusa – nonostante la resistenza etiopica continuasse ad opporsi all’occupazione – la guerra iniziata nel novembre dell’anno precedente.

La “prima guerra fascista”

La guerra contro l’Etiopia era stata un evento clamoroso. Aveva suscitato scalpore nel consesso internazionale la decisione dell’Italia di attaccare un paese sovrano, membro della Società delle Nazioni. Un tale scalpore che non solo la Società aveva approvato delle sanzioni contro l’Italia – piuttosto blande, per la verità –, ma che negli USA la comunità afroamericana si era mobilitata contro l’aggressione.

La guerra aveva suscitato scalpore anche in Italia, dove si assistete ad un investimento propagandistico senza precedenti da parte del governo. Da una parte, la guerra doveva mostrare quanto il Paese fosse cambiato rispetto all’età liberale. Occupare l’Etiopia significava vendicare la sconfitta che l’esercito italiano aveva subito 40 anni prima a Adua, guidato da un governo che il fascismo riteneva inetto e troppo debole.

Dall’altra, Mussolini approfittò della reazione internazionale per mobilitare la nazione attorno al conflitto e al regime: invitandola a contribuire alle spese belliche donando le fedi d’oro, tanto per cominciare; e inaugurando poi la politica autarchica.

Gli italiani dovevano consumare solo ciò che era italiano: al posto del caffè si iniziò a bere l’orzo, al posto del tè il karkadè.

La nuova Italia sul piano dell’impero

Era un piccolo passo verso la svolta che Mussolini avrebbe annunciato il 9 maggio: l’Italia non aveva solo un’altra colonia, da aggiungere a Eritrea, Somalia, e Libia. Con quella nuova occupazione il Paese faceva un salto di qualità che doveva riguardare tutti gli italiani, doveva cambiarne lo stile di vita, il modo di pensare a sé stessi, il modo di rapportarsi agli altri.

Dopo la proclamazione dell’impero il governo fascista prese diversi provvedimenti in questo senso, che riguardavano sia chi andava in colonia sia chi restava a casa.

Tra questi, il più importante fu l’introduzione della politica razziale: i pochi africani che si trovavano in Italia furono mandati via e dal 1937, prima che venisse varata la legislazione antisemita, agli italiani venne proibita qualunque commistione, soprattutto sessuale, con le donne africane.

I figli avuti da quelle relazioni – ormai illegali – dal 1940 non poterono essere legalmente riconosciuti dai padri. Chi aveva sangue africano non poteva essere italiano.

Nel frattempo, il 9 maggio divenne una festività nazionale: doveva ricordare agli italiani la propria “ritrovata” grandezza, la propria capacità bellica, colonizzatrice e “civilizzatrice”, la propria superiorità nei confronti dei popoli africani.

Dimenticare l’impero?

Durò poco, come poco durò l’impero. Nel 1941, nello stesso giorno di maggio in cui cinque anni prima gli italiani fecero ingresso ad Addis Abeba, l’imperatore Haile Selassie tornò nella sua capitale, ormai liberata.

In Italia il 9 maggio continuò ad essere ricordato per alcuni anni, finché non fu abolito dal calendario delle festività nel 1946. Uno dei motivi di questa permanenza fu che né il Regno del Sud né la Repubblica fascista di Salò rinunciarono al progetto di tornare in Africa. Anzi, quel progetto fu portato avanti anche dai primi governi repubblicani, che chiesero di continuare ad esercitare un ruolo almeno in Libia, in Eritrea e in Somalia. Le motivazioni dietro tale richiesta – che portò all’Italia l’Amministrazione fiduciaria della Somalia dal 1950 al 1960 – erano che gli italiani in Africa avevano dimostrato il proprio valore attraverso il lavoro, e dovevano ora aiutare le popolazioni africane a uscire dalla loro arretratezza.

Erano scomparsi i discorsi sulla purezza del sangue, ma erano rimaste la certezza della propria superiorità, e la convinzione per cui le violenze perpetuate durante l’occupazione fossero in qualche modo compensate dall’impegno lavorativo profuso oltremare.

La festa scomparve, dunque – per rimanere patrimonio dei nostalgici più legati agli ambienti di destra -, ma la sua cancellazione non fu accompagnata da un ripensamento dei “valori” di cui essa doveva convincere gli italiani.

Per questo ricordarla, come si ricordano i fatti storici, ricostruendone quindi contesto e motivazioni, oggi può servire non per ribadirne il messaggio, ma per ricordare di quali materiali ideologici e di quali immaginari si è nutrita anche la storia dell’Italia.

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