Ei fu, ma fallì in Sardegna

L’Unione Sarda, 05 maggio 2021

di Giampaolo Salice

Duecento anni fa, il 5 maggio 1821, Napoleone Bonaparte moriva a Sant’Elena. Si chiudeva così la straordinaria vita di uno dei più celebri e celebrati condottieri della storia.

L’immagine del grande generale che scompare inghiottita da una silenziosa e spopolata isola stride col rumore del mondo che egli aveva rivoltato e sconvolto e che lo ricordava e lo ricorda ancora oggi soprattutto per le grandi avanzate continentali su terre italiane, polacche e tedesche, per l’attraversamento delle sterminate piane russe, per la conquista dell’Egitto arabo e mussulmano.

Napoleone Bonaparte all'età di 23 anni
Napoleone Bonaparte all’età di 23 anni

Nella remota Sant’Elena si riannodavano i fili di una vita che era sempre stata intimamente legata anche al mondo delle isole, per vicende che sono forse poco note, ma che ci riguardano da vicino perché riguardano anche la Sardegna, dove Napoleone ebbe il suo primo appuntamento con la storia.

Il destino di un isolano

Il futuro imperatore dei francesi era un isolano, nato nella Corsica che nel Settecento disseminava in tutto il Mediterraneo migranti, esuli, coloni, valori e idee di cambiamento.

Prima della Francia, fu quell’isola a trasformare una protesta fiscale in lotta di liberazione nazionale, a generare la prima costituzione liberal-democratica europea, a coinvolgere nella sua lotta anti-genovese le principali potenze geopolitiche del Settecento. Pasquale Paoli, Alerio Matra, Domenico Rivarola sono solo alcuni dei protagonisti di una straordinaria stagione di elaborazione politica che vestì con forme nuove rivendicazioni antiche.

Il Napoleone che arriva a Santo Stefano il 22 febbraio 1793 è figlio di quella storia. Ha 24 anni ed è del tutto inconsapevole che la fame di conquista delle isole intermedie tra Corsica e Sardegna è figlio non solo dei valori giacobini, ma anche, forse soprattutto, del risentimento che i corsi ancora nutrivano per i sardi, che nel 1767 si erano presi l’arcipelago de La Maddalena.

Sardi, che pur avendo spesso origine corsa, furono pronti a battersi contro di lui, quando il 25 febbraio provò a occupare La Maddalena al comando dei 350 uomini dell’XI battaglione.

In due giorni l’invasione era già fallita: per le incertezze di Colonna Cesari, amico personale di Pasquale Paoli al comando dell’artiglieria, e per l’accanita resistenza dei maddalenini ispirati dalle gesta di Domenico Millelire.

La disfatta

La disfatta fece il paio con quella conseguita dai corso-marsigliesi che nelle stesse settimane avevano provato a prendere la Sardegna da sud. I successi sardi erano trascurabili sotto il profilo militare, ma conquistarono comunque l’attenzione del mondo, perché resuscitarono speranze, incoraggiarono a resistere, spronarono tanti a non perdersi d’animo nella lotta contro i francesi. In Sardegna la vittoria innescò una serie di rivolgimenti politico-istituzionali e sociali che ancora oggi si ricordano come “triennio rivoluzionario sardo” (1793-96).

Come un virus, alcune idee di cambiamento e rivoluzione degli invasori avevano passato le difese sarde, si erano infiltrate tra i difensori del regime antico, infettando persino alcuni tra coloro che si erano battuti per ributtare a mare i corsi, Napoleone e le loro rivoluzioni.

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