Sant’Efisio, i Vespri (siciliani) e la memoria dei ceci

Vespri sardi, ma perché?

Oggi si celebra la sommossa che il 28 aprile del 1794 cacciò da Cagliari tutti gli ufficiali piemontesi, incluso il viceré. Unica eccezione fu fatta per l’arcivescovo di Cagliari Vittorio Melano, che rimase alla guida dell’arcidiocesi.

Da diversi anni si usa il termine “vespri sardi” per definire quei fatti. Ne fa un uso insistito il presidente della Regione Sardegna, capo del partito sardo d’azione, il cui principale obiettivo statutario è “condurre la Nazione Sarda all’indipendenza” (leggi qui e qui).

Cosa sono i Vespri e cosa c’entrano con i fatti del 28 aprile?

La risposta è nulla, non c’entrano nulla. Nella liturgia cattolica il Vespro è la preghiera serale, la penultima ora canonica. In passato si usava suonare la campana per chiamare i fedeli alla preghiera del vespro.
Proprio all’ora del vespro del 1282 scoppiò a Palermo un tumulto anti-angioino, orchestrato dalla nobiltà siciliana. Il moto condusse al passaggio del regno di Sicilia dalla dinastia francese agli aragonesi.

I vespri siciliani sono stati risignificati nell’Ottocento dai patrioti risorgimentali, che li hanno trasformati in uno dei tanti episodi della lotta degli “italiani” contro l’oppressore straniero. Nella medesima temperie culturale si sono consumate altre analoghe strumentalizzazioni politiche, come la lotta dei comuni italiani contro l’imperatore tedesco Federico Barbarossa o la guerra di Eleonora d’Arborea contro gli aragonesi.


Fabbricatori di memoria

Nel Novecento, sia i comuni italiani che il giudicato di Arborea sono stati strumentalizzati da altri nazionalismi: rispettivamente da quello leghista-padano e quello sardo autonomistico-indipendentistico, entrambi in funzione anti-italiana.
Negli anni Novanta il nazionalismo sardo ha anche “conquistato” il 28 aprile, facendone la festa del popolo sardo e applicando a quei fatti valori e obiettivi che in larga misura gli furono estranei. La costruzione nazionalistica classica della celebrazione la rende particolarmente fragile al cospetto di una seria analisi storiografica. Ed è forse questa debolezza che ha spinto tanti ad accostarla ad altri fatti più celebri come i Vespri Siciliani.

Sa Die de Sant’Efis e lo svuotamento di senso

La sommossa del 28 aprile sarebbe dovuta scattare non al vespro ma il quattro maggio, in occasione della processione con cui la città scioglie il voto secentesco per Sant’Efisio, protettore di Cagliari e della Sardegna, generalissimo delle truppe sarde che nel 1793 avevano respinto il tentativo di invasione francese del regno.
È dunque il voto cagliaritano per Sant’Efisio a scandire temporalmente e in termini di legittimazione sacrale l’attimo della sollevazione, situandola puntualmente in uno specifico contesto morale, politico e spirituale che è quello sardo e cagliaritano.
Riferirsi ai fatti del 28 aprile chiamandoli come i vespri siciliani è per questo del tutto fuori luogo; corrisponde a un pieno svuotamento di senso che disturba la comprensione di un fatto storico specifico, annientandone il quadro entro cui ebbe origine e sviluppo.

Nara Cixiri?

Anche l’aneddoto più celebre legato al vespro siciliano è stati copiato di sana pianta e trasferito nelle “memorie” del 28 aprile sardo. La memoria orale narra infatti che, durante la rivolta dei vespri, i rivoltosi per individuare i francesi mostrassero alle persone i ceci chiedendo di pronunciarne il nome in siciliano (cìciri). I francesi, che non sapevano pronunciare correttamente la parola, venivano così scoperti e arrestati.

La stessa storia, copiata pari pari, la troviamo dentro la memoria del 28 aprile: come i siciliani anche i sardi per riconoscere i piementosi avrebbero chiesto ai sospetti di pronunciare la parola cixiri.

È incredibile la potenza rivelatrice dei ceci, che così tanto sanno dirci non sulla storia sarda, ma sui modi in cui in il presente la usa, ne abusa e la trasforma in memoria.

Arcivescovo di Cagliari Melano. Non gli venne chiesto di dire Cixiri

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