“Alla carlofortina” Come nasce una tradizione?
a cura di Vince Cammarata
“A mia nonna verrebbero i brividi a sentire abbinare il tonno al pesto!”
Daniela zittisce tutti. Tutti quelli che la sera prima avevano provato la vera pizza alla Carlofortina.
“Ma come, la pasta, ma soprattutto la pizza, sono ormai famose in tutta Italia, l’altro anno in Puglia ne ho mangiata una: tonno e pesto! Buonissima!”
“Eresia!”, Tuona Daniela.
Eh, ma allora chi ha ragione? Qualcosa non quadra. Ed è questo che occorre chiedersi: come, quando e perché nasce questo brand “alla carlofortina”?
E che ne pensano le due anime gastronomiche del paese, ristoratori e soprattutto le detentrici della tradizione culinaria casalinga?
Un brano del libro di Vanessa Biggio e Andrea Luxoro, “Sapori e stagioni di Carloforte”, potrebbe rispondere agevolmente a questa domanda, ma sarebbe troppo semplice arrendersi, senza combattere, alle conclusioni a cui arrivano gli autori: occorre quanto meno parlare, con uno dei ristoratori che ha inventato il pasticcio (e non la pasta!) alla carlofortina, assaggiarlo, e poi correre a sentire l’altra campana, quella delle puriste.
La maggior parte dei libri di cucina riporta, a dire il vero, un’altra ricetta che reca nel nome questo appellativo oppure quello, ancora più tradizionale, alla Tabarkina (con la k, così come si scriveva nel secolo scorso).
Ma procediamo con ordine: partiamo dal Pasticcio alla carlofortina e andiamo a sentire cosa ha da raccontarci il figlio di Vittorio Poma, Luca, giovane chef del ristorante che porta il nome del padre e che di Carloforte e di cucina mediterranea è cultore.
"C’erano dei tabù nella nostra cucina tradizionale: il primo ad essere infranto fu il limone grattugiato sulla pasta, erano i primi anni settanta. Poi anche mio padre scandalizzò non pochi sporcando la cucina tabarchina con il nero di seppia: questa è un’influenza che viene dalla Sicilia, Carini, la città della Baronessa e di mia madre!"
A dirla tutta il sangue siciliano permea nella sua narrazione anche quando racconta che ad insegnare ai tabarchini l’Arte del Tonno furono i tonnaroti di Trapani. Ma questa è un’altra storia.
"Mio padre poi – continua Luca Poma – intorno alla metà degli anni settanta, ispirato da un altro ingrediente della cucina carlofortina, il basilico e la sua crema (n.d.r. l’assenza di pecorino e la filologia imposta dalla DOP non consente di chiamarlo ufficialmente “pesto”), decide di macchiare, questa volta di verde, un pasticcio composto da tre formati di pasta fresca locale condito con il nostro ragù di tonno fresco: un successo!"
È così tanto un successo che, avendo chiamato questo piatto “alla carlofortina”, questo connubio fra tonno, salsa di pomodoro e pesto: praticamente una bandiera.
In effetti come una bandiera si tratta dell’unione di due simboli, il tonno e il pesto, che presi singolarmente rappresentano: il primo vari centri di pesca sparsi lungo le coste del mediterraneo e il secondo la Liguria e più in particolare Pegli.
Una narrazione che evidentemente semplifica (per non dire scavalca) le origini tabarchine e finisce forse per agevolare l’ignoranza del turista che viene sull’isola incuriosito da questa mitologica enclave linguistica da loro identificata come genovese.
Un simbolo quindi, che diventa – forse non del tutto inconsciamente – un caso di successo da manuale per un corso di “food branding” in qualche corso di marketing turistico.
Il pasticcio comunque è squisito quindi l’esperimento o l’operazione, qualsiasi cosa essa sia funziona e naturalmente da questo punto di vista non tradisce il palato.
Ma non tutti la pensano così abbiamo visto.
Antonia Tavella, la sarta di Via Cagliari, ad esempio, e se le chiediamo:
“E se le dicessi alla Carlofortina?” Si illumina e inizia a parlare di Tonno, di fritto, di aglio, alloro, aceto…
Ma come? E il pasticcio?
“Per me alla carlofortina c’è solo il tonno”.
Effettivamente tutti i libri di cucina consultati, pubblicati prima del 2021, fino a quello citato – quello di Vannisa Biggio e Andrea Luxoro, che fra l’altro parla proprio alla comunità du paize, del paese – parlano del tonno alla carlofortina o alla tabarchina e non riportano assolutamente il pasticcio.
A supportare le parole di Antonia, raccogliamo la testimonianza di Mariangela Pomata, imparentata con uno dei ristoratori storici di Carloforte, ma se si può ancora più ortodossa di Antonia se si parla di tonno.
"Il tonno veniva fritto, poco, che è delicato e poi veniva nuovamente soffritto con due spicchi d’aglio…"
e Mariangela parte con il racconto della ricetta che – con qualche venale differenza – ricalca abbastanza fedelmente la ricetta che Antonia ci aveva rivelato.
"A Carloforte il tonno è il numero uno. Ricordo quando mio padre, saliniere, mi mandava a prendere il tonno appena macellato… al macello, oggi Ex-Ma".
Già. Chissà perché chi è furesto pensando al macello pensa subito a bovini o suini. Qui no, il sangue che scorreva era quello del Tonno, un animale che malgrado tutto era fonte di vita e sostentamento per tutta la comunità.
Le domande allora sono tante, soprattutto perché sfogliando libri di ricette che magari appartengono a Luciana Raffini, che furesta anche lei, annotando su un appunto rimasto fra le pagine scrive un elenco: “Piatti Tipici Antichi”, e nella seconda colonna, sotto il tabarchino cascà (il cuscus) annota “Pasticcio alla Carlofortina”.
Ma allora: quanto tempo ci vuole per entrare nella tradizione?
Bibliografia
Biggio, Vannisa, e Andrea Luxoro. Sapori e stagioni di Carloforte. Le ricette di Vannisa. Youcanprint, 2021.
Hobsbawm, E. J., e T. Ranger. L’invenzione della tradizione. Tradotto da E. Basaglia. 1° edizione. Einaudi, 2002.
Pellerano, Marcella. Cucina carlofortina. Viaggiando in Sardegna. Cagliari: Edizioni della Torre, 2014.
Rossi, Sergio <1958->. La cucina dei tabarchini : storie di cibo mediterraneo fra Genova, l’Africa e la Sardegna, 2010.
Simeone, Nino. U Paize u mange ... : il gastronomo tabarkino. Carloforte, 1991.
Alimentazione e piatti locali, in Vallebona, Studio monografico sulla città di Carloforte: geografia, storia, economia, tradizioni. Cagliari: Fossataro, 1969.