Via col vento della censura. I film come statue in movimento (da abbattere?)

via col vento

di Stefano Pisu

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Le recenti polemiche sulla decisione della piattaforma HBO Max di ritirare il film Via col vento hanno incluso anche il cinema nella discussione sull’abbattimento dei monumenti di figure storiche giudicate razziste. In entrambi casi – statue e film – si tratta di esempi di iconoclastia che riflettono l’intricato rapporto fra presente e passato, fra memoria pubblica e Storia.

Ma gli oggetti della critica sono molto diversi: a statue e monumenti, nella loro corporeità e fissità, la cui esperienza è legata al luogo in cui “stanno”, si contrappongono i film come immagini in movimento, sempre riproducibili e slegati da un’unica modalità di fruizione. La messa in discussione del diritto di un film a essere visto rimanda al tema della censura cinematografica.

Libri su libri sono stati scritti sulle ragioni che nella storia del cinema hanno portato alla proibizione di determinati film o all’obbligo di modificarli.

Ma il caso di Via col vento è più specifico: si tratta di una censura a posteriori, dato che il film circola da ottant’anni e rappresenta una pietra miliare della storia del cinema. Vi sono, in realtà, dei precedenti illustri anche se con uno scarto temporale minore fra celebrazione e damnatio memoriae. Quali sono e perché ebbero questo destino?

La grande illusion: da film pacifista a spia di Vichy

Un caso paradigmatico di censura a posteriori è quello di La grande illusion di Jean Renoir del 1937. Il film, ambientato durante la prima guerra mondiale, racconta le vicissitudini di tre militari francesi prigionieri dei tedeschi.

Questi ultimi si distinguono per umanità e rispetto verso i loro nemici, e il film mostra come non debba essere la nazionalità, ma la classe, a segnare i conflitti della Storia. La sinistra francese, allora impegnata nella politica dei fronti popolari antifascisti, salutò l’uscita del film come un successo del pacifismo, mentre in Germania fu proibito per la critica al nazionalismo, la rappresentazione dell’ebreo e la relazione fra una donna tedesca e il tenente interpretato da Jean Gabin.

Nel secondo dopoguerra, invece, la stampa transalpina lo criticò aspramente perché il rispetto reciproco e l’intesa coi tedeschi nel film anticipavano involontariamente il collaborazionismo della Francia di Pétain con la Germania hitleriana. Questa rilettura del film a posteriori spinse lo stesso Renoir a rilavorarci, ripulendolo dalle scene più scomode per l’identità nazionale francese post Vichy.

Verbotene filme: la censura dei film nazisti dopo la seconda guerra mondiale

Dei quasi 1100 film prodotti in Germania sotto il Terzo Reich la censura del governo militare alleato ne ritirò dalla circolazione circa 300, giacché ritenuti espressione dell’ideologia e della politica naziste. Si cercò così di denazificare la cultura cinematografica del paese. Con la creazione delle due Germanie nel 1949, la censura alleata fu rimpiazzata a Ovest da un regolamento di autodisciplina dell’industria cinematografica.

A metà degli anni ‘60 i diritti dei due terzi dei film prodotti sotto Hitler furono concessi a una fondazione sotto il controllo della Repubblica Federale. Considerato il potenziale valore commerciale dei film censurati, essi furono riesaminati e la maggior parte fu messa in circolazione fra la fine degli anni ‘70 e gli anni ‘80, con tagli e avvertenze sulla loro natura ideologica.

Dopo la riunificazione vi fu una nuova selezione e oggi sono ufficialmente inaccessibili solo una quarantina di opere, fra cui il famigerato film antisemita Süss l’ebreo. In realtà quei film hanno sempre circolato più o meno apertamente e gran parte di loro si trovano oggi in rete, rappresentando delle fonti preziose per lo studio della storia della Germania nazista.

Tutti i supporti di Stalin: dalla celluloide ai pixel, passando per l’oblio

Un terzo caso riguarda il destino che i film sovietici celebranti Stalin subirono dopo la sua morte nel 1953. Il rapporto segreto letto da Chruščev nel febbraio 1956, in occasione del XX congresso del PCUS, menzionava esplicitamente il culto cinematografico del dittatore georgiano.

Tutti i film che lo ritraevano e lo citavano furono ritirati o rimontati al fine di abbatterne l’immagine di celluloide. Anche se sotto Brežnev il personaggio del georgiano riapparve in alcune nuove produzioni, i film più smaccatamente di propaganda staliniana sparirono dagli schermi sovietici.

Quelle opere riemersero dopo la fine dell’URSS in VHS prima e in DVD poi. Si tratta di un’operazione di rivalorizzazione non solo commerciale, ma anche culturale, come patrimonio della storia del cinema nazionale russo, intendendo con ciò anche l’eredità sovietica. Attualmente gran parte di quei film è reperibile on line e rappresentano, come nel caso dei film tedeschi del periodo nazista, delle importanti fonti digitali per la storia dell’URSS.

Censure filmiche e cesure storico-politiche: cui prodest?

Ciò che accomuna la decisione di HBO Max di “abbattere” Via col vento e gli esempi sopra riportati è la volontà, da parte dei rispettivi “censori”, di perseguire non tanto obbiettivi di carattere universale e umanitario, quanto i propri interessi specifici in momenti storici di tensione, se non rottura, socioculturale e politica.

La grande illusion fu criticato e “corretto” per salvare la faccia di un paese che aveva parzialmente collaborato con la Germania hitleriana. Il destino dei film nazisti cambiò con i diversi passaggi della storia tedesca e della sua identità nazionale dal ’45 alla riunificazione.

Quello dei film più stalinisti fu determinato in primis dall’interesse di Chruščev di scagliare una damnatio memoriae selettiva contro il suo predecessore, condannandone il culto della personalità e le grandi purghe, ma sorvolando su altri crimini che lo avrebbero coinvolto quale parte del sistema repressivo sovietico.

Nel caso di HBO sorge il dubbio che la censura del film di Fleming risponda più all’esigenza di mostrarsi politically correct in una particolare contingenza sociale, mediatizzata a livello globale proprio dalla rete dove la stessa piattaforma esiste, che da una seria e lucida riflessione sul razzismo e sulle sue declinazioni nella settima arte.


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