Prima di Montanelli. Monumenti e dibattito pubblico sul colonialismo italiano

di Valeria Deplano

Le recenti contestazioni alla statua di Indro Montanelli a Milano sono conseguenza e insieme causa di un rinnovato dibattito pubblico attorno al tema della memoria coloniale e alle sue ricadute in Europa e in Italia.

Non è la prima volta: seppure con modi differenti e in relazione a monumenti molto diversi tra loro, la presenza di segni legati al passato coloniale nel paesaggio italiano è da oltre venti anni un elemento ricorrente del dibattito pubblico.

L’obelisco di Axum

Tra la fine degli anni ‘90 e i primi Duemila il dibattito ruotò attorno all’obelisco di Axum, prelevato dai fascisti da una area sacra dell’Etiopia e portato a Roma nel 1937. Nel dopoguerra l’obelisco fu inserito in un elenco di oggetti reclamati dal governo di Addis Abeba, ma l’Italia – preoccupata delle reazioni sull’opinione pubblica – rimandò per 50 anni la restituzione.

Era quello il periodo in cui prendeva forma il mito degli “italiani brava gente”: cioè la narrazione, che divenne uno degli elementi fondativi della Repubblica, secondo cui gli italiani non erano mai stati davvero violenti e razzisti. Tale mito consentiva – e allo stesso tempo imponeva – di considerare diversi eventi, tra i quali l’occupazione di Libia, Eritrea, Somalia ed Etiopia ma anche le azioni fasciste nei Balcani, come elementi sui quali non procedere giuridicamente e non ragionare criticamente.

La svolta arrivò nel 1997: in quell’anno per la prima volta la Repubblica italiana, per bocca del presidente Oscar Luigi Scalfaro, condannò l’occupazione coloniale definendola un crimine. La dichiarazione di Scalfaro era stata influenzata dal dibattito pubblico sull’uso dell’iprite da parte dell’Italia nella guerra d’Etiopia, e costituì la prima negazione ufficiale del mito della “brava gente”. Esito di quella presa di consapevolezza fu proprio la decisione di rimuovere l’obelisco di Axum, nel 2002, e di restituirlo all’Etiopia nel 2005.

Una restituzione però non scevra da polemiche. Ad esempio, l’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini scese di non pronunciare la parola “restituzione”, affermando invece che l’Italia “contribuiva all’identità etiopica”: il messaggio era che l’Italia non aveva rubato nulla in passato, mentre nel presente era una nazione benevola che continuava ad aiutare l’Africa.

Il mausoleo di Affile

Il dibattito sul colonialismo tornò agli onori delle cronache nel 2012 quando ad Affile, nel Lazio, fu costruito un mausoleo dedicato al generale Rodolfo Graziani. Graziani era stato il responsabile di una sanguinosa repressione sia in Libia sia in Etiopia; inoltre fu ministro della difesa nella repubblica di Salò. Il mausoleo ebbe inizialmente finanziamenti pubblici, poi revocati in seguito al montare di una mobilitazione che attraversò gli USA e l’Inghilterra per poi arrivare in Italia, grazie anche alla comunità etiopica. Il sindaco di Affile fu poi condannato per apologia del fascismo, ma il mausoleo è ancora lì.

Quali furono allora i termini del dibattito? A destra Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio, difese l’edificio, sottolineando il valore militare di Graziani e il fatto che nessuna giuria “lo avesse ritenuto colpevole di crimini di guerra”. Il sindaco di Affile disse che “è strano che Graziani sia considerato un criminale per le sue azioni Africa durante il colonialismo e il suo superiore, Badoglio, sia considerato un eroe”. Si tratta della verità: Graziani non fu giudicato per gli eccidi compiuti in Africa ma solo per il suo ruolo durante la repubblica di Salò; e Badoglio fu incluso con lui nella lista dei criminali di guerra, ma nessuno dei due fu giudicato per quei crimini. Così, il fatto che nel dopoguerra i crimini coloniali non siano stati puniti, è stato utilizzato negli anni Duemila per negare la legittimità di un giudizio storico sulle azioni di Graziani in Africa.

Nell’area progressista il dibattito si articolò in maniera diversa: da una parte c’era chi, come il presidente della Regione Lazio in carica, Nicola Zingaretti, criticava il monumento perché dedicato a un fascista, senza menzione dei crimini coloniali. Accanto a questa posizione ne emerse però un’altra, più attenta allo specifico problema coloniale. Ad esempio, sul “Corriere della Sera” Gian Antonio Stella notò quanto fosse “sorprendente che ancora oggi il mausoleo sia contestato solo guardando alle responsabilità dei Graziani a casa” e non in Africa.

Memorie che cambiano

La restituzione dell’obelisco di Axum racconta di un mito del buon italiano che, dopo cinquant’anni, ha iniziato ad incrinarsi. Al contrario, la costruzione del mausoleo di Affile racconta di una parte d’Italia che, quando non li nega, considera ancora i crimini e le violenze commesse in Africa di secondaria importanza. A complicare ulteriormente il quadro, il dibattito attorno alla restituzione dell’obelisco mostra però che ci sono ancora difficoltà a mettere in discussione l’immagine dell’Italia portatrice di civiltà; mentre la sollevazione contro il mausoleo dedicato a un criminale di guerra rivela l’esistenza di una società civile nazionale e internazionale non più disposta a tacere su queste scelte.

Le memorie collettive sono continuamente soggette a simili processi di rielaborazione che si sviluppano attraverso il confronto e lo scontro di idee diverse e conflittuali; processi di grande interesse storico poiché finalizzati alla ridefinizione o alla difesa dei valori sui quali, attraverso il modo con cui si ricorda il passato, si vuole fondare il presente. Come il “mito del buon italiano” era funzionale al tipo di società e di Stato che le classi dirigenti vollero creare nel dopoguerra, così il dibattito attorno ai monumenti italiani (da erigere o no, da rimuovere o no, da spostare o no) non è il punto centrale bensì il termometro di una lenta spinta verso la negoziazione di una nuova memoria coloniale funzionale una diversa società attuale.


Per saperne di più

Valerio Ciriaci, If Only I Were That Warrior, (documentario, Italia/Etiopia, 2015, 72′)

Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza, Vicenza, 2005

Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano, Laterza, Roma, 2013

Massimiliano Santi, La Stele di Axum da bottino di guerra a patrimonio dell’umanità, Mimesis, Milano, 2014

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