Storia digitale contro analogica. Una riflessione a margine

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di Giampaolo Salice

È profondamente sbagliato pensare che il digitale sia l’alternativa all’analogico, che metodi e strumenti “tradizionali” della ricerca storica siano in opposizione a quelli che vanno emergendo per effetto della dematerializzazione dei supporti.

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Questo pensiero è “arido”, figlio di una visione geometrizzante della realtà, di un neo-cartesianesimo pericoloso, perché in grado di svuotare di significato civile e di pubblica utilità l’azione che gli storici e le discipline umanistiche nel loro complesso possono e devono svolgere nella società del nostro tempo.

Il cosiddetto digitale deve essere usato non contro l’analogico, ma a servizio del patrimonio di conoscenze elaborate dalle comunità nei decenni e nei secoli.

Non abbiamo bisogno di nessuna rivoluzione digitale, né di assaltare i castelli dei vecchi metodi. Abbiamo io credo necessità di una riforma premeditata, che combini il vecchio col nuovo, riaffermando il valore metodologico dell’immaginazione e di una ricerca libera da qualsiasi costrizione di carattere politico, matematico, aziendalistico o utilitaristico: libera cioè di studiare anche e soprattutto oggetti che il senso comune considera inutili.

Io penso che a questa riforma radicale, come storici, dobbiamo partecipare, intanto per non subirla e basta e poi per condizionarla con la consapevolezza che deriva dalla conoscenza dei metodi e degli strumenti che abbiamo ereditato dal passato e che – specialmente in ambiente digitale – conservano e aumentano il loro valore analitico e tutta la loro enorme rilevanza etico-civile.

Dunque, per come la vedo io, non si tratta di essere a favore o contro il digitale, quanto invece di interessarsi ai modi e alle tecnologie con cui oggi le fonti vengono (ri)generate e condivise, perché questi metodi e queste tecniche computazionali (che sono i nuovi contesti documentali) condizioneranno profondamente il modo in cui interpreteremo le informazioni, il modo in cui scriveremo i nostri saggi, il modo in cui contribuiremo a dare alle società gli elementi essenziali del loro discorso, che è sempre, da sempre, soprattutto un discorso storico.

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