A cura di Beatrice Schivo
Particolarmente in Cagliari si facea frequente mercato di schiavi turchi a beneficio sì del tesoro regio, che degli armatori ed altri cittadini: schiavi che provenivano da combattimenti marittimi o terrestri, o da naufragi.
Il Mediterraneo per tutta l’età moderna è stato punteggiato di navi corsare dalle quali i barbareschi compivano razzie e rapine di uomini. La Sardegna, dalla sua posizione centrale, non rimase estranea alla sorte di quel mare. Contro di essa la minaccia barbaresca si rivolse costante e pressante, dovette sopportare per secoli le incursioni, le razzie di beni ma soprattutto di persone. La breve distanza che la separa dalle coste del Nord Africa, la posizione centrale nel bacino mediterraneo, golfi e approdi adatti alla strategia d’attacco rendevano favorevole l’esercizio della pirateria e della corsa nei mari intorno al Regno.
A esercitare la più consistente e fruttuosa l’attività nel Regno di Sardegna furono soprattutto i maiorchini, catalani, maltesi e francesi. La documentazione archivistica ha restituito numerose testimonianze delle catture operate da questi capitani e dell’introduzione delle loro prede nel mercato di schiavi del Regno, in particolare sulla piazza mercantile di Cagliari che raggiunse dimensioni considerevoli tra il XIV e il XVII secolo.
Catturati e condotti nel porto di Cagliari gli schiavi musulmani (ma non solo: le carte rivelano la presenza anche di qualche ebreo, greco, slavo) entravano nel Regno e ne iniziava la circolazione. Nella città capoluogo gli sfortunati venivano inventariati e venduti all’incanto pubblico. Così potevano finire in mano a privati, generalmente nobili, patroni di navi, mercanti, a figure istituzionali come i viceré (grandi acquirenti di schiavi), i procuratori reali, gli avvocati fiscali, i giudici della Reale Udienza, ma anche esponenti dell’alto clero come arcivescovi o diaconi.
Dopo essere stati acquistati potevano trascorrere tutta la loro schiavitù in mano al medesimo padrone – fino al momento di una eventuale liberazione o fino alla morte – oppure essere reimmessi nella rete “commerciale” proprio come un qualsiasi altro bene di scambio. La documentazione notarile (in questo studio ci si è limitati alla documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Cagliari e specificamente nella Tappa di Insinuazione di Cagliari) è ricca di atti di compravendita tra privati, di atti di donazione di schiavi e di lasciti ereditari: si tratta delle diverse maniere attraverso cui uno schiavo poteva passare da un proprietario a un altro.
Approfondimenti
Bibliografia
Salvatore Loi, Prigionieri per la fede: razzie tra musulmani e cristiani (Sardegna secoli XVI-XVIII), S@l Edizioni, Capoterra, 2016;
Pietro Amat di San Filippo, Della schiavitù e del servaggio in Sardegna, Paravia, Torino, 1894;
Pietro Martini, Storia delle invasioni degli arabi e delle piraterie dei barbareschi in Sardegna, Tipografia Timon, Cagliari, 1861;
Salvatore Bono, Schiavi musulmani nell'Italia moderna. Galeotti, vu' cumprà, domestici, Edizioni Scientifiche Italiane, Perugia, 1999.