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La pesca del tonno nella Sardegna del XVIII secolo


Descriviamo la pesca del tonno nel Regno di Sardegna nel Settecento attraverso le splendide pagine dedicate all'argomento da Francesco Cetti in Anfibi e pesci di Sardegna (1777)


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Le rotte del Tonno


Nel periodo di calma marina, il tonno non si sposta; la quiete del mare è il suo momento di riposo. In questo periodo, si dedica al gioco e alla caccia. Tuttavia, quando il mare si agita sotto il vento, il tonno riprende il suo viaggio, seguendo la direzione del vento. 

Le tonnare, dunque, temono la calma dopo le tempeste e sperano nel vento. Ciascuna tonnara nutre speranze per il suo vento, ma tutte concordano nel sospirare inizialmente per il vento di ponente. Questo vento spinge il tonno dall'oceano nel Mediterraneo. Inoltre, tutte le tonnare sarde pregano insieme per il maestrale e per la tramontana. Questi venti allontanano il tonno dal continente europeo e lo dirigono verso la Sardegna. Le tonnare occidentali della Sardegna sono soddisfatte con il maestrale e la tramontana, mentre quelle settentrionali continuano a sperare nel vento di levante

Il levante ostacola il tonno tra l'Italia e la Corsica, costringendolo a scendere lungo la Corsica occidentale. Il levante si oppone anche al tonno alle bocche di Bonifacio, costringendolo a girare nel golfo tra lo Gonzardo e l'Asinara, dove si trovano le tonnare settentrionali. 

Spesso, i tonni si muovono insieme in gruppi di due o tre, seguendo un modello simile all'accompagnamento dei lupi, ma talvolta procedono anche come capre, cioè in gruppo o mezzo gruppo. Ci sono stati momenti in cui il gruppo è arrivato a contenere addirittura un migliaio di tonni.

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Il raïs


La figura più importante nella pesca del tonno. Tutto ciò che riguarda la pesca del tonno, il luogo, il modo e il momento dipende interamente dal raïs.

È fondamentale che il raïs sia innanzitutto una persona di fede incorruttibile, incapace di tradire il suo principale per favorire qualsiasi altra tonnara. Alla sua integrità deve affiancare un'intelligenza, sagacia e attività pari. L'intelligenza affinché possa conoscere appieno la natura del tonno, la sagacia nel riconoscere ogni minimo dettaglio come una punta di terra, un rialzo o un colore del fondo del mare che potrebbe influenzare la pesca. Deve essere in grado di studiare ogni aspetto e, dopo avere pianificato attentamente, deve erigere rapidamente e con decisione in mare aperto una vasta struttura di reti, capace di resistere come una roccia alle tempeste.

Una volta posizionata la rete, deve essere instancabile nel visitarla e riconoscere l'inizio della pesca. Deve anticipare le tempeste con la perspicacia di un pilota, evitando di impegnarsi in una sessione di pesca inopportuna. Nel giorno programmato per la pesca, sa come gestirla rapidamente e adeguarla alle circostanze richieste. Da queste qualità del raïs dipende in gran parte il successo della pesca e, pertanto, ci si aspetta molto dal raïs dopo il "domineddio".

Il raïs è l'individuo più rispettato nella tonnara, poiché è il più autorevole. Il suo nome è l'unico che si sente echeggiare e la sua voce è la più accogliente. 

Nel Settecento, questo ruolo di rilievo è svolto in Sardegna principalmente da genovesi o siciliani. Tuttavia, è più comune trovare siciliani come raïs, poiché in Sicilia c'è una grande tradizione nel loro paese, non solo per la pesca del tonno, ma anche per ogni altro tipo di pesca. Gli siciliani sono davvero i più industriosi e instancabili in questo campo.

Tutto il mese di aprile è dedicato agli accordi, mentre il 3 maggio gli affari si intensificano ulteriormente. È il momento di predisporre la tonnara, un compito affidato al rais, che non è altro che la manifestazione del sistema da lui elaborato riguardo al luogo in cui posizionare la rete.


 

Incrociare la tonnara 


È il rais l'architetto della tonnara. Egli tracciava in mare le linee da seguire per collocare la rete. Per tracciare il suo disegno il rais non usa pali, ma due corde chiamate intitole, poste sull'acqua parallele fra loro a indicare i due lati estremi del gran parallelepipedo della rete. Il giorno dopo l'incrociamento, la rete viene gettata e benedetta dal clero della tonnara. La rete è così vasta e articolata da sempre "un arditissimo edificio piantato in mezzo al mare". Essa conta almeno diciotto canne di profondità, cioè a dire piedi parigini centootto, altezza di piedi parigini 162 di altezza. Il fondo della rete è il fondo del mare medesimo. 


 

Nella rete


La prima camera nella quale il tonno fa il suo ingresso e la gran camera, il cui accesso (foratico) restava sempre completamente aperto. Nonostante ciò il tonno non riesce più uscirne. Piuttosto vortica all'interno dell'ambiente e qualche esemplare entra negli ambienti successivi della rete.  La coda, ossia pedale, e il codardo servono a guidare il tonno nella rete. La coda ferma e guida il tonno, il codardo è teso contro il tonno. L'aggregato delle camere viene chiamato isola. 

Dall'alto i tonnarotti monitorano l'ingresso del tonno. Il rais e il suo vice, dalla sua feluca, verificano sia la mattina che la sera il numero dei tonni entrato nella gran camera, contando "i tonni ad uno ad uno, come il pastore conta le sue pecore". Quando il conteggio è difficile, il rais getta un drappo nero per coprire i raggi del sole e, se questo non basta, getta un osso di tonno oppure la "lanterna", cioè un sasso con osso della seppia, che riflettendo il sole rischiara il buio. 

Se il rais si rende conto che i tonni nelle prime camere sono troppi e impediscono l'accesso ad altri tonni, si cura di spingere i tonni nelle camere successive. Lo fa gettando un pugno di sabbia, che spaventa i tonni e li spinge nella camera desiderata. E se la sabbia non basta allora si getta la faccia di pecora nera pelle. Nei casi estremi si usa il lingiarro, una sorta di rete con cui si stringe la camera del tonno per costringerlo a fuggire. 

La camera di morte è la destinazione finale dei tonni. È questa la camera che deve essere sollevata per permettere ai tonnarotti di artigliare i tonni. Per questo la camera di morte è più resistente delle altre ed è infatti cucita a maglie più strette, fatte di canapa. 

Il rais informa costantemente il padron della pesca, gli fa rapporto dello stato delle cose, del numero dei tonni esistenti in rete, delle provvidenze da sé prese, delle distribuzioni dei tonni fatte per le camere. 



 

La mattanza


Quando il rais ritiene che i tonni catturati siano in numero sufficiente ci si prepara per l'atto finale, al quale ogni lavoro e ogni preghiera sono consacrati. Si giunge alla mattanza, un evento che tiene in attesa non solo le tonnare, ma anche ogni luogo circostante, con persone distinte che si radunano da lontano per godersi uno degli spettacoli più impressionanti del mondo, superiore alle illusioni sceniche delle città. La cortesia è la regola principale nelle tonnare, quindi il forestiero che partecipa all'evento viene accolto e trattato calorosamente, ricevendo anche una parte del bottino di pesca al momento della partenza.

Il giorno prima della mattanza il rais invia nella camera di ponente la quantità di tonni destinati al sacrificio. Questa camera di ponente può essere chiamata il vestibolo della morte, poiché i tonni al suo interno sono alla vigilia del loro destino finale. Tuttavia, alcuni associano la camera di ponente al nome dato dagli antichi alla punta di Bisanzio, chiamandola la camera dell'oro, perché il tonno nella camera di ponente è considerato equivalente all'oro in tasca.

La sera prima della mattanza, viene estratto a sorte il nome di un santo che sarà il protettore della giornata successiva. Solo il santo estratto verrà invocato durante quella giornata. Il giorno della mattanza, prima dell'alba, il rais parte per l'isola per spingere i tonni al loro ultimo passo che li conduce nella camera di morte. Questa operazione talvolta incontra grandi difficoltà, mettendo il rais quasi alla disperazione, come se i tonni comprendessero le conseguenze che per loro avrà il lasciare la camera di ponente per entrare nella camera vicina.

Nel frattempo, sulla terraferma, gli occhi sono ben aperti, i cannocchiali puntati per individuare la chiamata del rais. Quando il rais è pronto, sventola una bandiera bianca. A questa chiamata, inizia il tripudio sulla terra, i remi si tuffano in acqua e le imbarcazioni partono, sia cariche di pescatori che di spettatori. Man mano che le imbarcazioni arrivano, si posizionano attorno alla camera di morte.

Il capo rais, su una lunga imbarcazione senza alberi né remi, si posiziona dal lato di ponente della camera di morte. Il paliscalmo (palischermo), un'altra lunga imbarcazione senza alberi né remi, si posiziona di fronte. Altre imbarcazioni più piccole si sistemano sugli altri lati della camera. 

Nel mezzo della camera, il rais con il suo gozzo comanda l'azione come un maniscalco in una giornata di guerra. L'azione consiste nel sollevare la camera di morte, tirandola fuori dall'acqua. In questa fase, il paliscalmo non partecipa, si limita ad agganciare il suo lato della camera di morte, senza intoppi. Il resto dell'equipaggio, sotto il comando del rais, inizia a tirare fuori la camera. A causa del peso, l'operazione avviene lentamente, quasi in sincronia con la guida costante. "Issa, issa!" gridano tutti i marinai, tirando da tutte le parti con la stessa forza. Il rais si muove costantemente avanti e indietro con il suo gozzo, chi gridando, chi incitando, chi scagliando maledizioni, chi con la testa coperta da un pezzo di sughero.

Man mano che la camera viene tirata fuori dall'acqua, le imbarcazioni la raccolgono e il capo rais si avvicina sempre più al paliscalmo. Lo spazio della camera si restringe, i tonni sono costretti a salire in alto e avvicinarsi alla superficie. Un ribollire nell'acqua, che cresce sempre di più, annuncia l'arrivo dei tonni. I foratici, armati di uncini, corrono allora a distribuirsi sulle imbarcazioni guidate dal capo rais e dal paliscalmo, unici bastimenti autorizzati ad uccidere. 

È un vero spettacolo osservare l'ardore e l'impazienza con cui questi uomini aspettano l'apparizione dei tonni e sentono il comando del rais di colpire e uccidere quando il tumulto dei tonni affiora e raggiunge la superficie. Questo è il vero punto culminante dello spettacolo.

Si scatena una tempesta furiosa causata dal violento correre e scontrarsi dei grandissimi tonni rinchiusi, assordati, violentati, attaccati con graffi e cercati a morte. L'acqua schiumante sollevata dai movimenti violenti lava tutto intorno. I foratici sono furiosi nel colpire e mostrano chiaramente quanto il guadagno sia proporzionato allo sforzo, perché ogni pescatore considera il tonno che afferra come il più grosso, in quanto i latti, le uova, il cuore e lo stomaco di ogni tonno spettano al pescatore che lo prende. 

Sono veramente accaniti ad afferrare il maggior numero possibile di tonni, al punto che non prestano attenzione ad altro, nemmeno a prestare soccorso a un uomo caduto in mare o in pericolo in altro modo. È come in un giorno di battaglia, dove l'attenzione è tutta rivolta alla vittoria. Si urla, si impreca, si tira fuori dall'acqua con tutta la forza e la fretta possibile, con due o tre uomini impegnati a sollevare un solo tonno, senza preoccuparsi di altro.

Quando i tonni destinati all'uccisione si rarefanno, l'uccisione si interrompe, gli uncini vengono riposti e, gridando nuovamente "issa, issa!", si tira fuori dall'acqua una nuova porzione di camera. Il capo rais si avvicina sempre più al paliscalmo, lo spazio dei tonni si restringe ulteriormente, una nuova tempesta si scatena, si uccidono nuovi tonni e così via, fino a quando il fondo della camera è anch'esso a galla e non rimane più alcun tonno. 

Il mare si tinge di rosso a grande distanza, forse quanto non si è mai insanguinato nel giorno della Meloria, che ha lasciato i genovesi padroni del mare Tirreno e del mar Sardo sopra i Pisani. In breve tempo, la mattanza è finita e le imbarcazioni salpano verso la terraferma