A cura di Beatrice Schivo
Sebbene il passaggio alla religione cristiana non comporti necessariamente la liberazione, nella speranza di migliorare la propria condizione, alcuni schiavi comunque si convertono. Il recupero della libertà può essere così quanto meno agevolato. Nei riguardi degli schiavi domestici i proprietari indubbiamente esercitano una qualche pressione, probabilmente attraverso varie promesse.
I bambini nati in schiavitù da madri schiave e padri quasi mai specificati, vengono battezzati subito dopo la nascita, ottenendo così - talvolta - una condizione migliore rispetto ai non battezzati. Tuttavia, a meno che non vengano esplicitamente affrancati, anche dopo il battesimo rimangono schiavi.
Le cerimonie battesimali degli schiavi si svolgono di solito con un certo decoro. Si tratta di occasioni per manifestare il potere e le relazioni intrattenute dai proprietari, specialmente attraverso il ricorso a padrini e madrine di condizione elevata sino ai massimi livelli della gerarchia sociale, civile ed ecclesiastica: alti prelati, professionisti, personalità eminenti della società civile, nobili e finanche sovrani. Questo sistema di padrinaggi si rivela prezioso anche prospettiva di ricostruzione della rete clientelare e delle strategie dell'élite del Regno.
La ricerca condotta sulla fonte ecclesiastica, finora, copre gli anni dal 1600 al 1619. Nel grafico che segue sono riportati i numeri dei battesimi conferiti nella Diocesi di Cagliari per ciascun anno, suddivisi in base al genere maschile e femminile.
I documenti
Bibliografia
Salvatore Loi, Prigionieri per la fede: razzie tra musulmani e cristiani (Sardegna secoli XVI-XVIII), S@l Edizioni, Capoterra, 2016;
Salvatore Bono, Schiavi musulmani nell'Italia moderna. Galeotti, vu' cumprà, domestici, Edizioni Scientifiche Italiane, Perugia, 1999.