Una storia fatta di storie: raccontare un territorio, un paese, una comunità attraverso il digitale

A cura di Maria Josè Arba

Negli ultimi decenni, strumenti digitali e tecnologie informatiche hanno avuto un impatto sempre maggiore nella nostra vita quotidiana. Anche in ambito accademico risultano evidenti gli effetti di questa profonda trasformazione
Nell’ambito degli studi umanistici, tradizionalmente ritenuti avulsi da conoscenze scientifico-informatiche, il digitale ha avuto un impatto significativo, offrendo nuovi modi per analizzare il patrimonio storico culturale e aprendo la strada a nuove possibilità di comunicazione e divulgazione delle conoscenze. La connessione tra l’umanistica e il digitale ha reso possibile lo sviluppo di nuove metodologie di ricerca storica, favorendo l’elaborazione di grandi quantità di dati, consentendo l’accesso a documenti anche geograficamente distanti e non sempre accessibili, sostenendo lo scambio interdisciplinare e il coinvolgimento di un pubblico sempre più ampio, nei processi di creazione e divulgazione della conoscenza. 
 
Oggi appare quasi come una profezia la celebre frase di Emmanuel Le Roy Ladurie: “lo storico del futuro sarà programmatore (informatico) o non sarà più”, con cui preannunciava la necessità, per gli storici del futuro, di avere competenze in ambito informatico e saper collaborare con i professionisti del settore.
 
All’interno delle università, da qualche tempo, hanno iniziato a farsi strada gli insegnamenti dedicati all’umanistica digitale. È in questo contesto che si colloca il LUDiCa, grazie al quale ho potuto avvicinarmi alla disciplina. Il laboratorio si articola in due momenti: uno teorico, e uno pratico dedicato alla sperimentazione sul campo di quanto appreso in aula. 
 
Durante la prima fase, abbiamo intrapreso la nostra ricerca storica servendoci di fonti archivistiche e bibliografiche. Personalmente ho trovato particolarmente formative le due giornate del laboratorio dedicate alla ricerca di fonti documentarie nell’Archivio di Stato di Cagliari.  L’obiettivo era quello di imparare a realizzare una ricerca archivistica attraverso la consultazione di una parte della documentazione riguardante il Marchesato di Orani.  In passato mi era già capitato di fare ricerca in archivio, ma con modalità differenti.  Il Ludica mi ha permesso di rapportarmi alle fonti archivistiche con una maggiore consapevolezza e soprattutto con un metodo ben definito per l’organizzazione del lavoro di ricerca. Inoltre, ho potuto apprezzare l'opportunità che un sapiente utilizzo della tecnologia e degli applicativi digitali può offrire, soprattutto in questa prima fase, al fine di predisporre in maniera ordinata i dati raccolti e poterli poi concretamente utilizzare durante la fase successiva. 

Porto un esempio a tal proposito. All’interno del fondo Reale Udienza, di grande interesse è stato il ritrovamento della documentazione relativa a una controversia tra il feudatario e l’élite oranese, che si rifiutava di pagare i tributi in virtù del suo status sociale. La documentazione è stata trascritta, fotografata e schedata digitalmente, attraverso il software Omeka-S. Durante il campo estivo è stato possibile identificare quella che doveva essere l’abitazione di uno dei protagonisti della vicenda, la quale a sua volta si è rivelata essere un contenitore di ulteriori informazioni di tipo storico-artistico, architettonico e sociale. Così, attraverso il collegamento digitale tra le diverse schede, tutte le informazioni ottenute, sia attraverso le carte d’archivio sia durante la ricerca sul campo, sono state messe in relazione tra loro, in modo da ottenere un quadro d’insieme.

La seconda fase del laboratorio è stata condotta sul territorio, attraverso un progetto di storia pubblica e partecipata, con la comunità ospitante.  L'obiettivo era quello di ricostruire la storia della comunità e del Marchesato di Orani, tramite la raccolta e la descrizione di oggetti culturali, materiali e immateriali. Tutte le informazioni raccolte sono state poi organizzate in schede descrittive attraverso il software Omeka-S, il quale ha consentito anche di geolocalizzare l'oggetto descritto.

In questa fase ho avuto la possibilità di cimentarmi per la prima volta nella catalogazione e descrizione di oggetti digitali, di comprendere meglio il concetto di metadatazione e soprattutto di constatare l’importanza di creare descrizioni coerenti e standardizzate in vista dell’obiettivo finale: la comunicazione e la diffusione dei risultati della ricerca. Inoltre, ho apprezzato l’opportunità offerta dal LUDiCa di poter mettere in pratica fin da subito le nozioni teoriche apprese durante le lezioni in aula, ma anche la possibilità di sperimentare, personalmente per la prima volta in ambito accademico, il lavoro all’interno di un gruppo eterogeneo e multidisciplinare.  Infatti, il costante confronto e la collaborazione tra colleghi con differente formazione, è stato per me un importante stimolo e un prezioso momento di crescita. In questa seconda fase è stato fondamentale coinvolgere il pubblico, considerandolo non solo come fruitore, ma come co-autore del progetto.

Per stabilire un primo contatto con gli abitanti di Orani abbiamo potuto contare sul supporto del Museo Nivola, dell’Amministrazione comunale e degli studenti dell’Istituto comprensivo Francesco Delitala

Sin da subito la comunità si è dimostrata interessata e disponibile a mettere a nostra disposizione i propri oggetti e ricordi. Se al momento del nostro arrivo ci osservava incuriosita, il giorno seguente apriva le porte delle proprie case, trasmettendo un forte senso di ospitalità e al contempo un grande desiderio di partecipazione, mosso forse anche dall’urgenza di sottrarre all’oblio il sapere, la storia e le tradizioni del proprio paese. Non sempre però tali premesse hanno condotto al risultato atteso, è il caso di un informatore che pur avendo mostrato interesse e grande disponibilità nel condividere i suoi ricordi, successivamente ha ritenuto di non voler rendere pubblica la sua testimonianza. 

Per instaurare poi un rapporto di scambio con la comunità che ci ospitava, sono stati preziosi gli appuntamenti seminariali curati da docenti dell’Università e svolti nelle piazze del paese a tarda sera. Si è trattato di momenti che hanno favorito il coinvolgimento e l’interesse del pubblico, occasioni di dialogo e di reciproco arricchimento. La partecipazione della comunità ha avuto un ruolo centrale  nella realizzazione del progetto, rendendo possibile la raccolta di testimonianze, memorie e ricordi, utili per la ricostruzione storica.

In tal senso, è stato prezioso l’apporto della signora Margherita Busia, esperta conoscitrice dell’abito tradizionale di Orani, che ho avuto il piacere di conoscere e intervistare.  Nello specifico, tramite la visione dell’abito tradizionale e dei gioielli e soprattutto attraverso il racconto delle vicende familiari ad esso connesse, ho potuto tracciare una cronistoria dell’abito tradizionale del paese e, in un’ottica più ampia, acquisire informazioni sulla storia sociale del paese tra XIX e XX secolo. La documentazione anche in questo caso è stata fotografata e descritta attraverso il software Omeka-S. Da tale esperienza che tuttora ricordo con grande affetto, deriva la scelta del mio intervento per la serata conclusiva, in cui ho provato a interpretare la narrazione individuale e personale della signora Margherita per poi comunicarla e in un certo senso restituirla al paese stesso.

Inoltre, grazie ad un suggerimento di Sergio Flore, responsabile delle attività didattiche del Museo Nivola, e al contributo della signora Margherita Busia è stato possibile ritrovare e identificare l’antico simulacro della Madonna di Gonare. La memoria orale riportava la storia di un mendicante vissuto nella prima metà del Novecento nel Monte Gonare, il quale in vari periodi dell’anno portava un antico simulacro della Madonna lungo le vie del paese per la questua. Tale oggetto assume dunque importanza soprattutto nell’ottica della ricostruzione del contesto devozionale-rituale oranese nel XX secolo.
Appare evidente, dunque, che è possibile ricostruire la storia di una comunità anche partendo dalle storie individuali e da oggetti della cultura materiale, che la comunità percepisce come patrimonio identitario da tramandare alle generazioni future. 

Come scrive Caterina Benelli, docente di pedagogia generale e sociale all’Università di Messina: “raccontare la comunità è un'opportunità per restituire parole e voci a tutti, anche ai luoghi e alle persone dimenticate o a rischio di oblio ma che varrebbe la pena di ascoltare e conoscere per poi riconsegnare tale patrimonio di storie alla collettività, anche per le prossime generazioni”. 

L’esito finale del nostro lavoro è stato la creazione di un portale web nel quale confluiscono i risultati della ricerca e la sua presentazione al pubblico durante la serata conclusiva. Tale momento è stato un ulteriore momento di coesione con la comunità, in quanto tramite il portale è stato possibile rendere effettivamente visibile e tangibile la stratificazione delle memorie individuali e collettive, risultato dell’intenso rapporto di dialogo e collaborazione instauratosi nei giorni precedenti con i membri della comunità.   La restituzione dei risultati alla comunità, per me è stata tutt’altro che semplice, ma una volta superata la difficoltà iniziale, questa si è rivelata essere un’ulteriore occasione di formazione e di crescita, in cui ho potuto mettere alla prova me stessa e, in cui ancora una volta, attraverso l’incontro con la collettività ho potuto trarre un arricchimento, in termini non solo di competenze e conoscenze ma soprattutto di emozioni.

Con la rievocazione delle storie è stato possibile riportare il passato nel presente, ricreare appartenenze e creare nuove conoscenze e stimoli, offrendo alla comunità la consapevolezza del suo ruolo primario, nel processo di ricostruzione e valorizzazione del proprio patrimonio storico-culturale. Inoltre, è proprio attraverso il portale, il quale è stato pensato per essere liberamente accessibile e implementabile, che il progetto del LUDiCa può proseguire anche in futuro, grazie agli apporti e alle nuove riflessioni della comunità stessa. Così, in quest’ultima fase del laboratorio storia digitale e storia pubblica si sono incontrate, dando vita a un processo di condivisione con la comunità, di raccolta e conservazione della memoria e del patrimonio. 

In conclusione, ritengo che l’approccio della storia pubblica e le tecnologie digitali siano stati strumenti preziosi, attraverso cui è stato possibile coinvolgere il pubblico nella ricostruzione del passato, diffondere la conoscenza storica al di fuori del mondo accademico, permettendo alla comunità sia di riappropriarsi della propria storia sia di rinsaldare l’identità collettiva.

Bibliografia:

E. Le Roy Ladurie, Le territoire de l’historien, Paris, Gallimard, 1973.  
S. Noiret, Public History: Pratiche nazionali e identità globale, 2011.
S. Noiret. Digitale 2.0, in Zapruder, n. 36 (gen-apr 2015).
C. Benelli, Raccontare comunità. La funzione formativa della memoria, Unicopli, Milano 2020.
Serge Noiret, “Public History” e “storia pubblica” nella rete”, in Francesco Mineccia, Luigi Tomasini (a cura di): Media e storia, Ricerche storiche, n.2-3, 2009, pp. 276-279 e 309-310
 

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